martedì 31 marzo 2015

ARRENDEVOLI E ARRESI



Riflettevo sulla foto della bambina siriana che si arrende al fotografo, all'impatto visivo enfatizzato dalla didascalia e alla solita euforia generata a livello mediatico da certe immagini.


La medesima euforia che accompagna ogni evento nazionale o internazionale che riguardi stragi, morti, feriti, sul quale chiunque deve dire la sua, salvo uniformarsi alla dirompenza della frase giusta, scritta da uno e copia-incollata dagli altri sulla propria lingua o nel proprio cervello.
Nella quale sciacquare, pronunciandola o scrivendola, la propria coscienza, con l'illusione di tirarla fuori per ciò solo piú pulita.
Questa tendenza a rintracciare simboli di un'identitá smarrita, attorno alla quale stringersi virtualmente e asetticamente, fatico a comprenderla, ma nemmeno troppo.


La fame nel mondo é sempre stata piú poetica della fame del vicino di casa indigente.


La guerra suscita pietà ed orrore solo se rimane confinata altrove.
Quando raggiunge le porte del nostro paese e vi fa ingresso sotto forma di immigrati o rifugiati, genera in tante persone solo ribrezzo e disprezzo.
Il filtro costituito dallo schermo di un pc o della tv non fa toccare con mano i vestiti stracciati e le scarpe rotte e spaiate, non fa arrivare alle narici alcun odore immondo.


Mi domando come si concili la commozione mediatica per la bambina siriana con la realtá dei fatti che accadono e si consumano ogni giorno sotto i nostri occhi, per strada come sui mezzi pubblici, di fronte ai quali restiamo impassibili, o turbati in modo negativo.
E non serve nemmeno tirare in ballo gli immigrati.
Basta guardare alla barbarie che ci riserviamo l'un l'altro in certi frangenti del quotidiano.




Quelli che si sono veramente arresi siamo noi.
Ci siamo arresi alla superficialitá patinata e lustra dei fatti con i quali veniamo imboccati e nutriti ed ai digestivi ad hoc che ci vengono propinati.


E la mia non é una predica, in linea con la predicazione quotidiana, che pure viene sciorinata mediaticamente in forma letteraria o satirica sulla stoltezza del giudizio massificato degli altri - gli altri che a fasi alterne siamo pur sempre anche noi - e riceve applausi e compiacenza e accoglienza incondizionata in altri che criticano quegli altri.


É solo un'opinione scocciata, la mia.
Un'idea che stasera non riuscivo a tenere per me.
E la foto é tanto bella quanto straziante, ma non meno intensa dello sguardo di molti che incontro per strada ogni giorno e che non confidano in un futuro.
O si sono arresi a quello che altri hanno preteso di imporre loro.











8 commenti:

Apprendista Nocchiero ha detto...

Un post pubblicato alle 23:32.
"Esprimi un desiderio" direbbe mia ex-cognata (o avrebbe detto, non so. Sono anni che non ci parlo).

Non è una novità che il mondo "civile" si sia arreso al futuro (o all'apparente inesistenza dello stesso) e che disprezzi chiunque venga a turbare direttamente la parvenza di stabilità che ha dipinto attorno a sé.

Io credo sia una forma di inconsapevole ipocrisia.
Oltre lo schermo provano pietà mentre di persona sanno che è un LORO problema. Non diretto magari, ma non lo è oggi e domani potrebbe diventarlo.
Al "mondo civile" fanno paura le novità e le differenze.

Airbag ha detto...

è uno dei grandi drammi di internet, che ha la capacità di smuovere queste "onde emotive" a costo zero, dando l'illusoria sensazione di possedere a una coscienza. E tralasciando il fatto che la foto ritragga un bambino e risalga al 2012 (checché ne dica Repubblica), è l'ennesimo episodio di "mi commuove solo quello che è ben cucinato". Come dici tu, quando sono immigrati zozzi, luridi e affamati, sono un problema; quando sono piccoli e indifesi, sono amore e tante coccole.

Qui in Emilia abbiamo ricevuto migliaia di offerte di aiuto quando c'è stato il terremoto. Tutti pronti a rimboccarsi le maniche, tutti che "vorremo aiutare". Poi la notizia sfuma dai tiggì, e a spalare pietre, dare pasti caldi e montare tende restiamo soltanto noi volontari, quelli che non lo fanno part-time.

Internet mostra il lato comico del buonismo.

Unknown ha detto...

Condivido la tua sensazione e i commenti dei tuoi lettori. La vera tragedia risiede dentro di noi, nell'essere distratti ogni giorno davanti alle piccole cose che succedono intorno a noi, nell'incapacità di compiere piccoli gesti che a noi non costerebbero nulla ma che per chi li riceve rappresentano uno scrigno ricolmo d'oro. Un singolo essere umano può questo, ciò che è lontano da noi non può riceve alcun contributo da parte nostra, se non un sostegno morale o materiale ad associazioni che operano attivamente sul campo.
Buona giornata

.come.fossi.acqua. ha detto...

Un post che ho macinato mentalmente tutto il giorno e che ero indecisa se partorire qui o altrove.

Non mi andava di "offendere" alcuno degli amici che hanno condiviso la foto sulla propria pagina.

L'ipocrisia é consapevole.
In tutti.
Questo penso.
E porta a contraddirsi in modo manifesto.

.come.fossi.acqua. ha detto...

Apprezzo notevolmente il modo in cui scrivi, e un certo tipo di sensibilitá che emerge, sai?
Era da un po' che volevo dirtelo.

Condivido ogni parola che hai scritto.

Non conoscevo la storia della foto.
L'ho vista ieri su Repubblica per la prima volta.

.come.fossi.acqua. ha detto...

Sono sempre stata convinta che quello che singolarmente si puó fare é incidere sul piccolo mondo che ci ruota attorno, fatto di persone e luoghi.

Buone maniere e senso civico per base.
Un po' di altruismo e misericordia per continuare.
Un aiuto economico o lavoro personale prestato a titolo gratuito, dove possibile.
E, credo, sia sempre possibile.

Questo non implica dimenticarsi di ció che accade altrove, ma non essendo capaci di cambiare il nostro mondo, possiamo pretendere di cambiare quello degli altri?

Buona giornata a te!

sara-sky ha detto...



Condivido tutto il tuo post e i commenti di chi mi ha preceduto. Ho visto la foto e ho fatto riflessioni analoghe. Sarà che lavoro in una scuola in un quartiere disagiato e così ho imparato a conoscere realtà che non immaginavo, accanto a me. E credo ci siano situazioni analoghe in ogni città.
E così quella foto l'ho trovata stucchevole.

.come.fossi.acqua. ha detto...

É l'enfasi che non capisco, senza scendere nei dettagli della foto.

Il disagio ce l'abbiamo appena fuori la porta di casa.

Spesso anche dentro casa.

Tenere le palpebre alzate sugli occhi non equivale a guardare se le pupille non reagiscono alla luce delle cose.