lunedì 13 luglio 2015

NON RIESCO A LEGGERE



All'appuntamento con l'ago sono arrivata in ritardo, confidando nel fatto che mi mandassero via, considerato quanto sono fiscali con gli orari.


Mi hanno chiesto cosa dovessi fare.


"Non riesco a leggere...", mi dice quella dell'accettazione.
É arrivata un'altra a spiegarglielo.
Mi hanno guardata.
No, certe parole non suonano bene, é vero.
Soprattutto quando ti riguardano personalmente.
Anche se si tratta di ipotesi remote da scongiurare.


Il panico ha cominciato a salire, ma non ha raggiunto le orecchie con il suo sibilo insopportabile, l'ho domato.


Ho trovato l'infermierina tanto dolce che mi ha assistito la volta precedente.


Solo che le mie banali crisi di panico che culminano nelle solite richieste piagnucolanti del tipo "dammi due minuti" e "no aspetta", stavolta hanno sforato la soglia del suo orario.


"Devo andare via, ho un'urgenza, ma sta venendo un infermiere al posto mio, stai tranquilla...", mi dice.


Panico.


Mi sono immaginata un vecchio energumeno privo di sensibilitá a bloccarmi sul lettino.


Con le mani in faccia e le lacrime a dirotto e il fazzoletto stropicciato in mano, ho atteso l'arrivo dell'infermiere.


È spuntato sulla porta un ragazzo con gli occhi blu e ho pensato che non mi fregava nulla delle condizioni immonde (neanche la doccia, stamattina, un filo di trucco, nulla) in cui mi trovavo, della figura terribile e ridicola che mi aspettava.


Ha cominciato ad analizzarmi le vene del braccio.


"Hai delle belle vene", picchiettandomele con le dita.


Ho ritratto il braccio allarmata.


"Non ho ancora l'ago in mano, tranquilla...", mi dice.


"Mostro insensibile", ho pensato.


Mi ha infilato l'ago che si usa per i neonati.


C'hanno le vene cosí grandi i neonati? Li svezzano subito alla crudeltá della vita e degli aghi??


Voleva darmi la mano per reggermela.


"No", ho risposto nel panico, ritraendola in cerca di libertá.


In silenzio ha cominciato il suo lavoro.


"Parlami, per favore..." gli ho chiesto con le lacrime agli occhi.


Non potendo alzarmi subito, ho dovuto sostare per un po' sul lettino.


Mi hanno dato acqua, fazzoletti e un caffè che l'infermiere con tanta premura é andato a prendermi al bar.


L'ho ringraziato per la gentilezza.


"Se hai bisogno ti accompagnamo anche a casa..."


"No, grazie... Davvero, ce la faccio da sola".


Ho parcheggiato sotto casa e il vicino mi ha salutata quasi timoroso.


Con il cerotto al braccio e il viso bianco e la bocca rossa e gonfia contratta in una dolorosa piega (quando piango è così...) e gli occhiali da sole calati sul naso, devo essergli sembrata una tossica.


Ce l'ho fatta, però.


Versando lacrime amare, ma ce l'ho fatta di nuovo e da sola.


Non vincerò alcuna medaglia, peró sto in pace con me stessa, adesso.


E stesa.


Quando non posso affrontare il mondo in verticale, mi debbo rassegnare a farlo in orizzontale.


Al lavoro andrò nel pomeriggio, e in macchina, che in bici non ce la faccio.

















4 commenti:

Anonimo ha detto...

Sei stata brava...ma a volte dobbiamo imparare a chiedere aiuto.
Pensaci :-)

.come.fossi.acqua. ha detto...



È un appunto che giá altri mi hanno mosso.

Quando te la devi vedere da sola è così.

E poi è una fobia che devo affrontare.

E superare prima o poi...

sara-sky ha detto...

il mio era un invito che nasce dall'esperienza personale. Istintivamente sono come te. Ma qualche volta, è bello affidarsi.

.come.fossi.acqua. ha detto...


Non puó aiutarmi nessuno su questa cosa.
Devo affrontare la fobia da sola.
Non voglio trascinarmela per la vita.

E forse questo che sta accadendo è una prova per superare questo disagio.