domenica 3 gennaio 2016

COME UNA CAMERA D'ALBERGO



Mi guardo intorno, prima di infilare la porta, domandandomi se sto dimenticando qualcosa.


Non c'é piú nulla di mio nella stanza vuota, i miei effetti sono chiusi in una piccola valigia, e nella borsa a mano i documenti, il portafogli, un cappello maschile, le sigarette, la mappa accartocciata e scribacchiata della cittá sono tutto ció di cui ho bisogno per girare in autonomia.


Quel che provo quando lascio una stanza d'albergo é molto simile a quanto ricollego al mio viaggiare.


Ho sempre la sensazione di dimenticare qualcosa di mio, di abbandonare un pezzo di me tra le lenzuola disfatte del letto nel quale ho riposato, e nel contempo di portare via qualcosa che non mi appartiene e che diventa parte di me.


Una sorta di scambio equo tra quel che lascio morire e ció che lascio evolvere in una direzione diversa.


Una direzione che non avrei nemmeno potuto immaginare se non avessi viaggiato.


Ho ripercorso dei luoghi, nei quali ero giá stata, con passi e occhi diversi, perché diversa sono io oggi da quella che era la ragazzina sfrenata, incosciente ed affamata di vita e di esperienze che si buttava alla cieca nel mondo.


La possibilità di soffrire la affronto oggi in maniera diversa.


Prima, forse, non ne avevo tanta coscienza, ma prima era prima, mentre ora é ora, e sta giá dannatamente volando.


La mia percezione della vita é cambiata, ma non radicalmente.


Ho raggiunto a piedi un posto adorabile nel quale ero giá stata, e ho ripreso la posa che avevo nel medesimo scatto fatto milioni di anni fa, per una foto.


Avevo il braccio rotto, allora, e reggevo il gesso candido con l'altra mano.
Sorridevo ed ero stanca, perché invece di dormire, di notte... Beh, questa é un'altra storia e riguarda un'altra vita che non esiste piú.


Nello scatto di oggi sorrido forse ancora di piú di ieri, e all'apparenza nulla sembra rotto.


É l'apparenza che decisamente mi frega, ma poi che importa.


Sono ancora in viaggio, e tutto puó ancora accadere.