lunedì 26 giugno 2017

DELLA ROBOTIZZAZIONE DELL'ESSERE UMANO E DELLA MANCANZA DI OSPITALITÀ


In due giorni, sono incorsa in un treno soppresso e nel ritardo clamoroso dell'altro, che doveva portarmi nella città prossima all'aereoporto.
Giunta infine in stazione, allo sportello delle informazioni, ho chiesto quale mezzo, tra la navetta, il taxi e la metro, mi avrebbe consentito di prendere per tempo il volo.
Metro e tram, combinati insieme, con una percorrenza certa di 45 minuti.
La soluzione più economica.
Unico inconveniente, leggere speditamente i segnali, spicciarsi, e non perdersi.
Ho ricevuto risposte in spagnolo e inglese, chè va da sè che per spagnola e americana passo, in viaggio, sempre.
Ho raggiunto in un baleno la fermata del tram, precipitandomi fuori dalla metro.
Alla macchinetta posta sotto la cortissima pensilina, ho fatto il biglietto, attendendo impaziente gli 8 minuti lampeggianti sul tabellone la distanza temporale sino all'arrivo del tram.
Sono salita, obliterando il biglietto, e solo da seduta ho notato campeggiarvi sopra l'enorme cartello, sul quale hanno sentitamente scritto, a grandi lettere colorate: "non timbrare il biglietto equivale a frodare!".
Ho osservato le donne sedute compite nei vestiti aggraziati, affrontare il passaggio del tempo in una smorfia mista di sdegno e compiacimento.
La lentezza delle manovre del tram, che scivolava leggiadro sui binari curvilinei incastonati tra asfalto e prato inglese, ha cominciato a farmi salire l'ansia.
All'improvviso il segnale sonoro dell'apertura e chiusura delle porte è stato sopraffatto dalla voce meccanizzata che invitava a rimuovere l'ostacolo ivi presente.
La parola rimuovere ha continuato a ripetersi nel vagone del tram, e da dove ero seduta non capivo se ci fosse un oggetto o un corpo.
L'indifferenza silenziosa dei presenti, scocciati dall'intoppo, ma fiduciosi nella pronta rimozione, mi è sembrata degna di un film di fantascienza.
Che si potesse trattare di un corpo intero, o dell'arto di un malcapitato, o di una borsa, o di una pernacchia del vento a tanta costumatezza, a nessuno è parso importare.
L'importante è adempiere al proprio dovere di cittadino e timbrare il biglietto, salendo sul mezzo pubblico.
Sono arrivata per tempo in aereoporto, dove ho trovato file immense per varcare i controlli, e nemmeno un po' di free wifi, nemmeno una presa per caricare il cellulare.
Tutti, meccanicamente, ci siamo tolti chi la cintura, chi altre parti in metallo di cui ammobilia il corpo per uscire di casa.
La stronza ai controlli mi ha tolto la reflex dalla sua custodia, sbattendola malamente nel vassoio di plastica bianco opaco.
Lo smalto trasparente che avevo dimenticato in valigia, invece, non ha dato fastidio a nessuno.
Un'altra stronza mi ha intimato, a muso duro, di infilare i miei bagagli a mano l'uno dentro l'altro.
Eppure un tempo, almeno in aereoporto, le cose venivano chieste con garbo e con educazione.
Anche all'andata, ora che ci penso, la tipa al gate ha sclerato con me ed un'altra passeggera, indicandoci erroneamente il volo per il quale stavano imbarcando in quell'istante.
Senza contare la hostess sul volo di ritorno, che, per averle chiesto se potesse fare un po' indietro il carrello con le bibite per consentirmi di andare alla toilette, ha sorriso con arroganza al collega, dicendo, letteralmente, nella sua lingua: "è pressante questa sua esigenza...".

La mancanza assoluta di ospitalità della maggior parte di questa gente discende da fattori culturali di cui andare poco fieri.
Nella città che ho visitato, nonostante il miscuglio notevole di razze, ho notato, più che altrove, una ghettizzazione feroce, sguardi rabbiosi, distanze invalicabili.
È un porto di mare, pur non essendo propriamente una città di mare.
Alzi la testa, e vedi uno scorcio che ti fa sentire di essere precipitato, d'improvviso, nel cuore di Praga.
Ritrovi l'atmosfera festaiola dei quartieri del centro di Barcellona, e l'organizzazione del paesaggio urbano che porta alla mente Valencia.
Se non prenoti per tempo un tavolino al sole per fare colazione, ti freghi.
Tutto ha un prezzo, anche se talvolta irrisorio, e tutto va comprato.
È un posto splendido, ma nel contempo terribile.
Stimolante, ma castrante, per quella alienazione in cui la vita cittadina inevitabilmente trascina.

E forse tornerò.
Forse no.
I forse sono l'unica certezza cui posso tenermi.



























Nessun commento: