giovedì 26 dicembre 2019

TRA LO SPARTANO E IL TRADIZIONALE


Sono a casa dei miei da stamattina.
Loro non ci sono, hanno deciso di passare una giornata fuori, e di mettersi in viaggio.

A me davvero non andava di mettermi in macchina, ho preferito rimanere qui.

Certo, potevo rimanermene da sola a casa mia, e fare le stesse cose che ho fatto oggi qui, ma qui mi sento meno sola.

Sento l'odore di casa appena comincio a salire le scale; le scatole di panettoni, i vassoi con i mostacciuoli, i panieri pieni di frutta secca adornano graziosamente la cucina in disordine.

Le nostre personalità e i sentimenti che ci legano aleggiano per casa anche quando non ci siamo.
La popolano.
E la riscaldano.
Mi riscaldano.

Ho acceso la candela rossa nel centrotavola di legno che ho preso per la tavola natalizia - che invece di consumarsi, sembra voglia durare fino alla fine dell'anno per accompagnare ciò che resta di queste feste - e l'ho messa sul camino.

E poi ho acceso il camino, con quel che rimane della legna dello scorso anno e il cartone del pandoro.

Ho lavorato un maglione, che forse nel giro di un paio di giorni finirò.

C'erano questi gomitoli meravigliosi, in merceria, ed io avevo voglia di vestire qualcosa di diverso. Di unico.

E lo è, ogni volta, perché non seguo schemi, ma elaboro di volta in volta nella mente ciò che lavoro, mentre lo lavoro.

Mi sono fatta un uovo al tegamino con la scamorza, ho riempito il bicchiere di buon vino rosso, e mentre il camino scoppietta, c'è un film di quelli belli in tv.

Per quanto siano state faticose, queste feste, mi sento serena.

A posto con me stessa.

E per quanto banale possa essere un santo Stefano passato in casa, in questi termini, mi sembra di avere solo recuperato energie che avevo consumato e credevo perse.






domenica 22 dicembre 2019

E IL PREMIO DEL PILOTA DELL'ANNO VA A...


A tavola, con i miei, in questo periodo, si fanno bilanci seri.

Si discute dei chilometri percorsi nel corso dell'anno, si fanno stime su consumi, tragitti, costi, percorsi alternativi e quanto altro.

Mio padre esordisce che ha visto un'auto che mi piacerebbe molto, usata, a un prezzo concorrenziale.

L'auto dei miei sogni è un fuoristrada senza cazzatine tecnlogiche, centraline e quanto altro, pura meccanica votata al viaggio in qualsiasi condizione ambientale, adatta a piste bianche e a scavalcare qualsiasi tipo di ostacolo.

Tra i figli, la contestazione sul numero  infimo di chilometri in media percorsi al giorno nel corso dell'anno non l'ho beccata io.

Mia madre, che con la macchina ci va a fare la spesa e ogni tanto si spinge un po' più in là dal percorso urbano, per andare a prendere il vino che ci piace nella cantina di fiducia, ha fatto un discreto numero di chilometri, quest'anno.

Io ho superato mio padre, che di chilometri, di suo e per lavoro, ne fa tantissimi.

È un triste record, ripagato, alla fine dei conti, solo da tanta inutile stanchezza.

Come si possono percorrere così tanti chilometri per non arrivare da nessuna parte, alla fine?

Sono stanca di spostarmi.
Sento forte l'esigenza, ora, di riprendere il mio viaggio.









sabato 21 dicembre 2019

CHI ODIA TUTTO L'ANNO, ODIA ANCHE A NATALE


Si può scegliere se coltivare buoni sentimenti o i peggiori sentimenti del mondo.

Perché è una scelta, non c'è niente da fare.

C'è chi sceglie di vivere nell'odio e nel risentimento, tutto il tempo, contro tutti, irrigidendosi sulle proprie sacrosante ragioni, le uniche che è in grado di riconoscere, le uniche con cui si confronta.

Si può scegliere di amare o odiare, ma non si può scegliere di amare se non si rinuncia ad odiare.

E a Natale non bisogna essere per forza più buoni.
Non è una questione di formalismi o luoghi comuni.
È solo che la cattiveria e l'odio sono sgradevoli tutto l'anno, e ancora di più in questo periodo, in cui ci si ferma, in cui ci si ritrova.
Per chi ha voglia di ritrovarsi, certamente.

La grande consapevolezza di questo Natale, è che non importa quanto si sia concilianti.
Non importa avere portato un briciolo di bene e pace dove alberga un male radicato e cieco,e dove l'obiettivo costante è quello di fare guerra e distruggere.

Non c'è informazione o parola sana che non possa essere trasfigurata e manipolata, e rilanciata come un sasso per spaccare le finestre integre che proteggono l'intimità della propria casa.
Io non dispongo di vetri antiproiettile, a sassate sono venuti giù tutti.
E adesso, senza vetri, sento freddo.
Sono ferita dalle schegge, che sono schizzate ovunque.

Chi separa vince.
Anzi si può dire davvero che abbia vinto.
E a questo brinderà, questo Natale, soddisfatto dell'ottimo risultato raggiunto.










domenica 15 dicembre 2019

UN PICCOLO SPAZIO PER L'ORDINE INTERIORE


Il wek end sta scorrendo all'insegna di attività basilari e necessarie.

Dovevo fermarmi per fare ordine e chiarezza.

Ho fatto amicizia con una nuova macchinetta automatica del caffè che non dà resto (c'è scritto a caratteri cubitali, per sottolineare che la tua necessità potrebbe comprendere una lauta mancia).
In compenso l'espresso è buono, ed è quasi il doppio rispetto a quello che mi eroga la macchinetta a lavoro.

Ho recuperato spazio vitale, per riflettere, fondamentalmente, oltre che per occuparmi di ciò che in settimana resta in sordina, in attesa di tempo ed energie di cui non dispongo.

Ho un misto di allergia e influenza, gli occhi gonfi, il naso chiuso, ma tutto sommato sono abbastanza vitale.

Fuori dalla finestra, oltre le pagine di questo libro, c'è un cielo azzurro striato dalle scie bianche degli aerei.

All'interno, un piccolo bucato a mano che finisce di asciugarsi sui termosifoni.

Ho formalizzato il mio intento di studiare per un nuovo obiettivo, e entro fine giornata deciderò se formalizzarne un secondo.

Niente altro che uno dei piani b precostituiti nel corso del tempo e mai percorsi, ma mai accantonati.

Non sempre le scelte ai bivi della vita inducono a percorrere strade che non consentono di guardarsi indietro.
Certi bivi restano lì, viene solo posticipata la svolta a un altro momento della vita.
Si percorrono cicli di vita e poi si torna al punto di partenza, ma con più solidità, e nuove opportunità che si incardinano sulle vecchie.

Mi domando se sia questo il caso, e nel frattempo valuto se lanciare la monetina, cosciente del fatto che dovrò agevolare una caduta proficua attraverso una mole di studio consistente.

Quanto spazio debbo fare ancora nella testa per tutto questo studio?

Mi sento come la memoria del mio cellulare, perennemente in bilico tra il 95 e il 99%, in affanno per cancellare cose inutili che mi occupano la mente.

Come si vive la vita come se fosse una nuova vita ogni giorno?
Abbiamo un passato e una memoria che ci connotano e ci indirizzano nel presente, ma fino a che punto è esperienza e oltre quale è solo un pesante bagaglio?

sabato 7 dicembre 2019

LA PERSONA PEGGIORE DEL MONDO


Come si dice quando fai di tutto, ma non è mai abbastanza?

Come si dice quando ti si richiede di fare sacrifici immensi, e li fai, ma non è comunque abbastanza?

Come si dice quando non importa quanto tu sia stanca o stia male o abbia bisogno di riposo, cure, una parola di conforto, perché a te nulla è mai dovuto?

Come si dice quando tu per gli altri e i loro problemi e i loro familiari che stanno male ci sei sempre, mentre per te non si spreca nemmeno una telefonata?

Come si dice quando ti si chiede di mettere da parte tutto ciò che vuoi, che per te è vitale ed essenziale, per aspettare che la vita si consumi inutilmente e fare posto al nulla?

Mentre il resto del mondo va avanti, e tu sei obbligata a restare in un pantano da cui cerchi disperatamente di uscire?



Io sono la persona peggiore del mondo.

E talvolta l'unico modo di migliorarsi è allontanarsi da chi ti convince di esserlo con commenti quotidiani e costanti che ti scavano i buchi dentro, come pallottole roventi.









domenica 1 dicembre 2019

STANOTTE SCRIVO UN LIBRO



Dove finiranno tutti gli spunti annotati nella mente, le immagini che scorrono negli occhi e registro in parole sui nastri precari dei cellulari (che lascio cascare a terra e disintegro prima di mettere in salvo ciò che vi custodisco)?

Dove finiranno tutti gli appunti che annoto in mille quaderni, e in foglietti volanti ficcati tra le pagine fitte di scrittura, riposte nei cassetti delle case che abito e ho abitato?
Dove finiranno le note e le rime?
Dove finiranno i miei scarabocchi a penna?
Dove le mie fotografie?
Dove il mio gusto nello scegliere le cose?


Stanotte scrivo un libro, mi dico, e ci metto tutto dentro.
Lo riempio come uno scrigno, segreto finchè qualcuno non scopre il tesoro che contiene.
Che non ha un gran valore in termini economici, come tutte le infinite attività di cui mi interesso e in cui spendo energie, ma traccia la mia identità più di quanto lo faccia la mia immagine esteriore.

Stanotte non posso scrivere nessun libro, in verità.
Devo riposare, mettermi in viaggio, andare a lavoro e preservare la lucidità per affrontarlo come si deve.
Non sto affrontando come si deve la vita, però, che continua a consumarsi rapidamente contro la mia volontà.
Mi sento un animale in gabbia.
Una gabbia con le ruote.


L'ANONIMA GIOCATTOLI


C'è una scatola di giocattoli che si è svuotata, e non riesco a non farci caso.

Ci passo davanti, ogni tanto, e dove mi cade l'occhio - ho questo problema infinito che pungola spesso la mia coscienza - non riesco a distoglierlo come se non mi riguardasse.

La regola di vita che mi sono data, involontariamente - così mi hanno cresciuta, soprattutto papà - è che quello di storto (a cose o persone è indifferente) che accade sotto i miei occhi è questione che mi riguarda, e se posso intervenire in qualche modo debbo farlo.

Ho quindi lanciato una piccola iniziativa con il passaparola per riempire questa scatola e farne pure un'altra.

Nell'anonimato, che non si sappia che sono stata io, perché svelarsi esporrebbe a criticità insostenibili e innescherebbe ulteriori dinamiche a cui non ho interesse a partecipare.

Che tanto poi, al fatto che ci siano o meno giocattoli non frega poi molto a nessuno, e nessuno ci farà caso quando la scatola si sarà riempita.

A nessuno frega molto di nulla, dove sono precipitata, questo si è capito.

Come se la vita che scorre davanti ai propri occhi fosse disinteressante come il vuoto.

Come se fosse sempre scontato che altri non volgano gli occhi altrove, che altri si premurino, che altri facciano qualcosa, intervengano in qualche modo.

Nel frattempo, la scatola ha cominciato a riempirsi.

Il passaparola ha funzionato, e questa piccola condivisione mi scalda il cuore.

Non è nulla, ma per me significa moltissimo.



sabato 16 novembre 2019

LA RICETTA DEL GIORNO


Ho aperto il frigo e ci ho trovato dentro un vassoio di fiori di zucca.

"Erano belli, li ho comprati", mi dice.

Non potendoli far fritti come piacciono a me (con auricchio e acciughina), ho utilizzato quel paio di alimenti disponibili in casa: della ricotta di capra, parmigiano e una zucchina.

Recuperata una vecchia grattugia malmessa, ho grattugiato la zucchina nella ricotta. Ho aggiunto il parmigiano e impastato il tutto con la forchetta.

Ci ho imbottito i fiori, disponendoli graziosamente in una teglia con un filo d'olio e un po' d'acqua, e a metà cottura in forno ho aggiunto una spolverata lieve di pangrattato.

Aspetto siano pronti.

È bello cucinare, quando ho tempo.

È bello mangiare insieme cose buone.





venerdì 15 novembre 2019

A LETTO


Ho viaggiato molto, ieri.

Spendo buona parte del mio tempo in auto, ormai; e mentre prima era la mia amabile passione, guidare, l'introduzione dei velox e la necessità di spostarmi su lunghe e inaccettabili distanze l'ha resa uno strazio e una fatica.

Ieri mi sono messa alla guida, e ho pensato di fare una lunga tirata di circa otto ore, invece di spezzare il viaggio in due giorni.

Ci ho messo di mezzo, però, anche un sacrosanto saluto ai miei, deviando un pochettino sul percorso.

Ho pranzato con un panino in auto, verso le 5.00 del pomeriggio, ché a lavoro, al solito, la pausa pranzo è un lusso, più che un diritto.

Ci sono giorni che corro alla velocità della luce, per riuscire a dedicarmi alle cose importanti della vita: i miei affetti.

Pur di rientrare a casa, e mangiare insieme e mettermi a letto sotto lo stesso tetto, anche se sono stanca morta.

E pur di scambiare anche solo un saluto e una parola dal vivo.

Stamattina, il tempo ricavato dal viaggio che non ho spezzato, l'ho passato a letto a riposare e occupare la mente con attività frivole.

Piove, e le tende filtrano una pesante luce grigia che riempie di piombo la stanza accogliente.

Nonostante l'atmosfera, l'acqua che sta piovendo, e quella che viene ormai trattenuta, inespellibile, anche dalla superficie immobile di questa popolosa terraferma, mi viene in mente di uscire a vivere, per recuperare la stanchezza che mi ha costretto a casa in settimana, dopo il lavoro.

Mentre guidavo, ieri, dopo circa un'ora ininterrotta di pioggia, le nuvole hanno cominciato ad alleggerirsi dal grigio e diradarsi, raccogliendosi intorno sole al tramonto.

Ho pensato che sarebbe bello, quando tutto sarà finito, di tramutarsi in un tramonto.

Restare sospesi tra la terra, le acque ed il cielo, irradiare i colori più belli, specchiarsi su ogni superficie riflettente e infine svanire, come non si fosse mai accaduti.

Ho disteso lo sguardo e le tensioni accumulate, e mi sono addentrata nella notte buia per raggiungere la mia destinazione.







martedì 12 novembre 2019

DI BARATRO LIVELLO


Obbligata, a mia insaputa, ad assistere ad una "lezioncina" di baratro livello (esiste un livello di tal genere, contrapposto al più alto livello?) non richiesta, che sussume in parte quanto per prima ho illustrato, prendendo le distanze dalle misure stese con l'accetta da altri.

Obbligata, come fossi carcerata.

C'è chi si sbrodola nei risultati e nelle fatiche di altri, spacciandoli per propri.

E pur continua a non cogliere le evidentiti criticità e contraddizioni di ciò di cui parla semplicisticamente, nella furia di attribuirsi successi.

E chi plaude, pure, a questa opera macabra.

Le lettura meccanica e cantilenante del nulla, mi ha preso allo stomaco,a un certo punto.

Non sapevo dove volgere gli occhi.

Non mi sono mai sentita così fisicamente costretta a sottoporre il mio intelletto ad uno strazio simile.

Ho preso il mio spazio per intervenire su quello che, a mio avviso, richiederebbe una più profonda e accurata riflessione, in luogo di un'applicazione netta e senza pensieri.


Io lo so che non vincerò il premio come angolo ottuso e solerte lustrascarpe dell'anno.

Lo so.

La mia personale etica me lo impedisce.
La mia formazione me lo impedisce.
La mia stessa identità che non riesco a sopprimere o a lasciar sopprimere.

Lo stomaco, però, si ribella, sta male.

Mi sento fuori posto.
Non appartengo a niente e niente mi somiglia.
Sono distante.







sabato 9 novembre 2019

PROFUMO DI MIELE


Oggi ho fatto un salto in parafarmacia, e ho trovato la ragazza che mi consiglia sempre ottimamente, e una ragazza nuova: la prima monitora e ricorda i miei acquisti nel tempo, e mi fa provare le cose su cui sono titubante e scarto con dei campioncini che mi consentano di coprire almeno 3 o 4 giorni per la prova (la adoro!); la seconda mi ha consigliato ottimamente su un prodotto in promozione stamattina.

È un flacone gigantesco, con ingredienti naturali e tanto miele, per viso e corpo, e in più ha una fragranza incantevole.

E quindi, in questo sabato libero dall'amore e da altri impegni, sono tornata solitaria a casa, mi sono accesa il camino con dei pezzi di legna e delle pigne raccolte in campagna l'altra settimana, bruciando dei grani di incenso sulla brace, e godendomi l'avanzare del pomeriggio verso la sera.

Ho sfogliato voracemente due riviste, una di moda, l'altra di arredamento, sprofondata nella vecchia poltrona vicino al camino.

Mi sono circondata di candele, e ho messo un'essenza agrumata nella piccola terracotta mezza spaccata, che ho da una vita e non mi rassegno a buttare.

Infine, sono andata a cena dai miei, limitandomi a un dito (orizzontale, e non verticale, come sempre, quando mangio a casa) di vino bianco per accompagnare il pesce arrostito e la verdura.

Il lusso finale di questa intensa giornata dedicata esclusivamente a me stessa, è stato usare il prodotto al miele che ho preso stamattina, massaggiarlo senza fretta sulla pelle, e provare un campioncino di booster per il viso.

Ho messo persino un ristrutturante all'argan sulle punte dei capelli.

Li ho spazzolati.

Mi sono sentita splendidamente  antica.

Non riesco a ricordare l'ultima volta che ho dedicato più di due minuti, la sera, al mio viso e alla mia chioma, davanti allo specchio del bagno.

Mi auguro che il benessere che mi sta dando addormentarmi con questo profumo di miele, stasera, mi dia la forza di avviare un nuovo rituale serale prima di mettermi a dormire.

Ho nostalgia di uno spazio dedicato al benessere e alla leggerezza.

martedì 5 novembre 2019

LE PERSONE OPACHE


Quello che si vede, di me, da sempre, in trasparenza, sono ombre, arcobaleni, raggi di sole e riflessi di luna, che si intervallano o mescolano insieme, noncuranti.

Le persone opache sono tali perché mancano di trasparenza, sono spesse ed unte, come i fondi duri delle bottiglie d'olio.

Scrutano il mondo dall'interno ombroso, attraverso una lente deformata che filtra la realtà.

Per me è un po' come essere finita a vivere in una bottiglia di olio stantio.

Le persone opache strisciano sul fondo.

Io cerco di arrampicarmi sulle pareti viscide, ma scivolo.

Non mi arrendo.

Possono stropicciarsi i vestiti, ma resto intera.

Resto salda.

Resto presente a me stessa per quella che sono.

Ma scivolo.

Ed è faticoso continuare ad arrampicarsi.




sabato 2 novembre 2019

L'ANELLO CON IL RUMORE DEL MARE



Ho ritrovato oggi l'artigiano da cui avevo preso, tempo fa, un bracciale molto semplice, ma con un movimento particolare.

Aveva un anello molto bello, anche, l'altra volta, ma non lo aveva della mia misura, e per la mano alla quale in genere lo porto.

Li fa lui, è un suo disegno, e il movimento è costruito in modo diverso per la destra e la sinistra.

Stamattina ne aveva due, di anelli.
Ho provato il primo, ed ero contenta che fosse della mia misura, appena appena un po' morbido al dito.

"Provi l'altro, è esattamente della sua misura", e così l'ho provato, ed è calzato perfetto, come la scarpetta di Cenerentola.

È un regalo.

L'ho messo al dito, e nel suo movimento mi è sembrato fosse racchiuso il rumore del mare.




giovedì 24 ottobre 2019

LA GENTE CHE SCOMPARE DALLA MEMORIA


Ho smarrito per strada il nome di qualcuno che ho conosciuto nell'arco della vita sinora.
Di cui ricordo a malapena la forma delle labbra, il corrucciarsi caratteristico di un sopracciglio, i raggi dorati nel verde azzurro degli occhi.

Dettagli piccoli di interi dimenticati.

Ho smarrito il sapore dei giorni insieme, degli screzi, dei viaggi.

Ho ben vivo il ricordo del cibo.
La bocca ha una memoria sorprendente...

Per il resto, sembra quasi di guardare una pellicola sbiadita, di quelle che non suscitano emozione, che faccio scorrere avanti e indietro, alla ricerca di qualcosa che riaffiora, ma rimane sopito, ormai spento.

Salvo quanto, ancora, si accende sulle note di una canzone.

Ad oggi però, mi rendo conto che sono io sola a riemergere dai miei ricordi.

Stringo tra le mani ciò che sono, ma la mia immagine riflessa al mondo mi sfugge, sempre, rintanandosi nella zona d'ombra che da qui mi è preclusa.

Mi sembra, per certi versi, di mancarmi di rispetto, a dimenticare.

Perché c'ero anche io, in quei ricordi.

Ma ci sono soprattutto adesso.
Ed è questo che val la pena tener presente.
Così come sono e non come ero e non sarò più.




SE IL MONDO, DOMATTINA, SI SVEGLIASSE INTELLIGENTE...



Il titolo è, in verità, la traduzione di un'esclamazione che mi è risuonata nella testa, non molto tempo fa, in questo terrificante luogo ameno.

Ci sono bambini che schiamazzano sotto la mia finestra, e genitori che li assistono amorevoli (leggi "scimmie urlatrici" che vanno in apnea per diversi minuti, emettendo suoni che fanno rimbombare le spesse pareti, e genitori incapaci di porre un freno a queste esternazioni moleste: cioè, a casa vostra fate un po' come ve pare, ma a casa/sotto casa degli altri, vi par troppo di adeguare il vostro contegno?).

A parte le nuovissime generazioni, le vecchie e vecchissime, pure, non scherzano.
Tra gente che urla e sbatte le porte ogni secondo, ogni giorno, sembra di stare al manicomio.
Da sani però, in un contesto malato, dove tutte queste sollecitazioni negative farebbero impazzire chiunque.

Star soli è meglio che stare in pessima compagnia, questo è certo.

Soprattutto se è una compagnia ininterrottamente rumorosa e obbligata.

Nemmeno gli auricolari gommosi del telefono ficcati come tappi nelle orecchie per cercare di mantenere la concentrazione e fare ciò che devo, smorzano l'invadente sgradevolezza cui sono sottoposta.

Cerco rifugio dal rumore, e non riesco a trovarne se non per brevi istanti.

Mi scoppia la testa.

Sono insofferente.

Non tanto al rumore in sé, quanto al vuoto che lo sostiene.

All'intelligenza che gli manca.

Alla sostanza.

Dove diamine sono capitata?

Me lo chiedo ogni giorno.

È degradante avere a che fare con una simile disumanità.

Il fatto che altri non abbiano un'etica, o vi deroghino tranquillamente, non costituisce motivo sufficiente per metterla da parte, a mia volta, ma abbatte sensibilmente lo stato d'animo con cui mi alzo al mattino, e mi avvio al lavoro.

Non è solo una questione di intelligenza, questa erbaccia cattiva: affonda le radici nell'ignoranza e nella cattiveria.

E mi domando fino a che punto sia possibile spingere le mani in questa terra nera per cercare di estirparla.

Questa mi pare oggi una bella sfida, da intraprendere in silenzio, senza clamore, senza preannunciare il colpo, ma predisponendolo, affinché accada.











sabato 5 ottobre 2019

DUE TAZZINE DI CAFFÈ


Ci sono giorni di lontananza obbligata, che obbligano ad abitudini solitarie.

Mangiar soli è una di queste.

Una delle peggiori.

Si sta al telefono, buona parte del tempo, e diventa un'altra abitudine quella di dirsi "pronto" invece che "ciao".

Si è ripreso a studiare entrambi per cercare di progredire ulteriormente, e questo comporta sacrifici ulteriori sotto ogni punto di vista.


Stamattina abbiamo trascorso il momento della colazione in videochiamata, ed io, che non sono di quelle molto accorte in tal senso, avevo i capelli ancora arruffati dal sonno e dagli incubi (ho sognato che mi derubavano, nella città orribile dove lavoro, e che mi angosciavo per il tempo da perdere per andare a far denunzia e bloccare le carte).

"- ... Senti, ho versato il caffè in due tazzine.
- come? 
- ho messo lo zucchero in una delle due tazzine, per te, ho versato il caffè e ho girato anche il cucchiaino prima di rendermi conto che non c'eri, fisicamente..." 

Mi sono messa a ridere di gusto.

Prepararsi il caffè è una delle forme in cui si traducono certi sentimenti.

E non so che darei per poter fare ogni mattina la colazione a casa con chi desidero, invece di svegliarmi in un luogo estraneo, incrociando gente altrettanto estranea, che non solletica nemmeno la curiosità di scambiarci più di due parole di cortesia o per educazione.




mercoledì 2 ottobre 2019

LA FLEBO DELLA SPERANZA


È un po' come stare attaccata a una flebo, nell'attesa che questa acquosa speranza si concretizzi e mi resusciti.

Non è proprio così.

Continuo ad andare avanti nei giorni e farmi trapassare dal tempo che sono obbligata a consumare e che mi consuma.

Tento disperatamente di mantenere in vita la mia umanità, in un contesto che è, per contro, disumanizzante.
In rapporti in cui pesa e viene fatto pesare l'apparire e l'avere, in luogo dell'essere e del sentire.

Essere l'unica voce fuori dal coro, sotto diversi punti di vista rilevanti, non fa che rendermi più ostinata nel non cedere.

Non fa che rendermi, però, anche più distante.

Distanze che, beninteso, non mi interessa percorrere, perché significherebbe andare a ritroso, regredire verso stadi di sottosviluppo attraverso i quali non sono mai nemmeno passata.


Come ogni giorno della settimana, non desidero anche oggi altro che rientrare a casa mia questo week end.

La vita qui è disinteressante come il nulla.




martedì 24 settembre 2019

INOSPITALITA'



Il tratto dominante degli autoctoni sembra essere quello indicato nel titolo.

Ti sentono parlare un accento diverso, e fanno finta di non sentirti o di non capirti.

E non parlo delle indicazioni che chiedi per strada agli sconosciuti,  ma degli esercizi commerciali, con queste commesse sostenute che fanno finta di non sentire, facendoti ripetere le cose più e più volte, o infilandoti cose completamente diverse da quelle che chiedi, scoprendolo ormai a lavoro, quando le scarti per mangiarle.

Non dimenticherò mai le disavventure al forno e in gelateria, di tutta questa scortesia gratuita.

Una donna che conosco, anche lei finita qui per puro caso, mi ha spiegato quello che per lei è un fenomeno culturale (la sua casistica spazia dagli esercizi commerciali ai mezzi pubblici): i ruoli e le cariche più importanti in ospedali, scuole, prefetture, o quanto altro, sono sempre stati sempre ricoperti da personalità esterne e, presumibilmente, i locali vivono questa situazione come un'ingiusta usurpazione di ciò che dovrebbe loro spettare per il solo fatto che nascono qui, al di là delle competenze di cui dispongono.

Sentirsi soli, in un luogo simile, rasenta l'alienazione, ed è uno sforzo enorme cercare di mantenere i piedi ancorati al suolo, e prima ancora i nervi saldi.

Facevamo un parallelo con un'altra persona ancora, costretta anche lei per ragioni di lavoro a stare per buona parte della settimana in questo posto merdoso.
Su come ci saremmo adoperate entrambe, se qualcuno di fuori fosse venuto a lavorare dove noi siamo nate e cresciute, per farlo sentire a suo agio, ed aiutarlo ad ambientarsi.
Di come la gente sia accogliente, salvo eccezioni.
Non il contrario.


La prevaricazione, altro tratto che connota questo luogo infelice ed i suoi abitanti, insieme a una certa tirchieria.

Certa per non dire patologica.

C'è stato il periodo in cui ho perso il sonno, e milioni di caffè e gli integratori mi hanno salvata dallo svenire ogni giorno a lavoro, o sul tragitto per andare e venire.

C'è stato quello in cui il sonno ed il cibo, contemporaneamente, sono diventati un problema esistenziale insormontabile.

C'è stato il periodo in cui, trovato finalmente un alloggio dignitoso e sano, ho recuperato il sonno, pur continuando ad avere serie difficoltà per mangiare qualcosa per pranzo, ogni giorno, e trovare la forza di fare la spesa e cenare, a fine giornata, una volta rientrata a casa.

C'è stato perchè ormai questo periodo di terribile assestamento mi sembra volga al termine.

Anzi, volge al termine.
Un termine che non è prossimissimo, però è all'orizzonte.


Sono rientrata con la luce del giorno piena, oggi, e ho spostato la scrivania sotto la finestra per studiare meglio.

Per capire fin dove posso arrivare, in questa vita, debbo solo continuare a studiare, come ho fatto sempre finora.

Per andarmene da qui, devo almeno provarci a fare qualcosa di più.

E se non riuscirò, continuerò a provarci finché non ci riesco.

Finché non metterò fine allo stare dove non voglio stare, dove non appartengo, dove non riesco ad essere quella che sono.









sabato 21 settembre 2019

RICOMINCIARE A MANGIARE, RECUPERARE LE FORZE



Adesso che sto recuperando, me la sento di scriverne.

Avevo perso peso.
Un po' troppo.

Mai avuti problemi alimentari, mai fatto diete, non mi sono mai privata di nulla.
Ho sempre goduto di un appetito formidabile.
E ho mantenuto sempre circa lo stesso peso e la stessa taglia, dall'adolescenza.

Eppure un certo tipo di malessere ha potuto questo ed altro.

Ho preso qualche giorno di tregua da tutto per riprendere in mano i miei ritmi biologici, e fissare di nuovo un orario immancabile per il pranzo e la cena.

Le persone ti vedono nello splendore della magrezza, come se fosse una meta sudata.

Io in quella terribile magrezza riflessa nello specchio o in foto, ho letto quanto stavo male, desiderando star meglio.

La mia famiglia è stata fantastica, lo ammetto.

Ho ritrovato l'appetito, il gusto per il cibo, la voglia di sedermi a tavola.
Mi sto rimpolpando.
Recupero forze a vista d'occhio.

E con le forze ritrovate sto cercando di far fronte in modo diverso al malessere, al quale al momento debbo tornare e non posso sottrarmi.

A stomaco pieno, si ragiona meglio.

Questo è sicuro.




giovedì 19 settembre 2019

QUANDO ESCO, CHIUDO LA PORTA


L'onnipresenza tracciata e tracciabile da un po' mi logora.
L'essere sempre raggiungibile.
Monitora ile.
Da tutti e da chiunque.
Perché?

La modalità aereo è diventata un sollievo, la superficie vitale alla quale mi affaccio per riprendere fiato dall'apnea.

Esco e chiudo la porta, qui e altrove, e ciao. Non esisto più, se non nel mio mondo reale.


Prendo le curve sul mare, e vecchie strade conosciute, ed altre meno, spingendo forte l'acceleratore per non far tardi.

Ogni tanto inserisco il percorso sul navigatore per concedermi di viaggiare sovrappensiero, senza rischiare di mancare la strada giusta.

Finisco in auto le colazioni in autostrada, fatte di gigantesche aragoste con crema chantilly, e infilo gustosi bocconcini di mozzarella di bufala in bocca, nel tragitto dal caseificio all'auto nel parcheggio, chè non so aspettare.

I miei momenti di massima goduria settimanale, nel tempo dovuto al lavoro, tra mille pause pranzo saltate, e diecimila bicchieri di caffè di plastica.

Sono qui.
Antica, continuo a scrivere la minima parte di ciò che vorrei.
Il resto lo dimentico.
Eppure so che si stratifica dentro e non va perso.

Nulla è mai veramente perso, una volta che lo si è pensato.



mercoledì 4 settembre 2019

UN MOMENTO DI PACE ASSOLUTA


Esco tardi da lavoro.
Mal di testa da fastidio.
Nausea da stanchezza.
Mi precipito a fare la spesa, prima che chiuda l'unico posto che mi consente di parcheggiare l'auto agevolmente.

Mi sorride il signore dietro il bancone, ricordandosi della spesa di prodotti locali freschi da portare a casa della volta scorsa, e chiedendomi se siano piaciuti.
"Molto, grazie", rispondo con un sorriso cortese.

Rifletto se prendere un'altro vasetto di salsa senapata ai peperoni, o se magari è il caso di provare quella all'arancia.
Desisto.
Nel week end avrò tempo di preparare qualche salsa, a casa, finalmente, senza dover cedere a prodotti preconfezionati o industriali.

Pago la cassiera che mi riconosce, ma mi pone sempre la stessa domanda, per desiderio di conferma (cui prima o poi risponderò diversamente, per ridere), riempio le buste e me ne vado.

In auto, percorro il tragitto residuo tra il lavoro e casa, quello del rientro.
Il sole sta calando sull'orizzonte urbano, in lontananza, la luce dorata avvolge la natura circostante.

Mi è sembrato per un attimo di percorrere un momento di pace assoluta, di consapevolezza, senza interrogativi di alcun tipo, senza ansia e preoccupazione, senza il telefono in mano, senza essere connessa con il mondo e i suoi infiniti problemi.

Il riflesso del sole si è spento nel giro di qualche minuto.

Ho acceso i fari, e sono scivolata verso la città.




giovedì 29 agosto 2019

IL CAFFÈ MATTUTINO


Mi intercetta appena sente la maniglia che gira, con le borse piene di libri e di generi di conforto vari ed eventuali, mentre vado a lavoro la mattina presto.

Sento la voce sottile ma ferma, che mi raggiunge nel corridoio, e mi domanda se ho già preso il caffè.

E no, non l'ho mai preso, questo benedetto caffè, e mi rallegra prenderlo con lei.

Spesso la trovo che stira, con il sorriso dolcissimo e nessun segno di fatica sul volto anziano.

È la gradevole presenza amica, dal sapore antico, perso nelle maglie del tempo, e ritrovata nello scomodo spazio di questo agosto.

Suor Teresa è diretta, ma con una delicatezza che profuma di rispetto, mai invadente.
Non si scandalizza della realtà che si muove e s'agita fuori da queste mura.
Scende, nei vicoli, rivolgendo parole gentili ai ragazzi che praticano la strada di questa città ostile e malfamata.
Crede fortissimo nella vita e nelle sole possibilità di riscatto e miglioramento.

Stamattina ci siamo salutate, all'alba dei rispettivi trasferimenti.

Mi ha messo un piccolo rosario luccicante tra le mani, per ricordarmi di lei.

L'ho abbracciata forte, con commozione.

Così ci siamo congedate.

Il ricordo più bello di questa terribile estate di lavoro sfrenato resterà quello del suo sorriso.





mercoledì 28 agosto 2019

RAINY ROUTINE


È il mio primo giorno di pioggia da mesi, e non ho una spiaggia vicina dove andare a camminare e distendere un po' le tensioni.

Ho solo una piccola finestra che rifiuta la città e porta lo sguardo al cielo.

E debbo farmela bastare per prendere ossigeno, a fine giornata.

Mentre rientravo in auto, stanotte, percorrendo strade buie e sconosciute, ripensavo a tutto quello che la giornata aveva portato con sé, e a ciò che io avevo introdotto in un anonimo giorno.

Uno di quei giorni di lavoro, cui ho dato, per una volta, una piega diversa.

"Ti ho conosciuto che eri una voce fuori dal coro", mi ha ricordato la voce dell'amicizia.

Che fine ha fatto la mia voce?
È soffocata.
La cattiveria ammala.
Ed io ho perso peso e salute in un modo che mi fa spavento.

Eppure ne sento ancora il bisbiglio, di quella voce.
Perché sussurro?
Sento ancora l'appetito nelle viscere, solleticato dalla vista e dal ricordo.
Quando ho smesso esattamente di mangiare, per ridurmi a nutrirmi?

L'ultimo anno è stato un anno di malessere profondo.
Di attriti, distanze, privazioni, stanchezza.

E per quanto possa sembrare desueto e inverosimile, un sentimento su tutti si agita, da un po', dentro.

Ed è uno di quei sentimenti che più ho odiato nel corso di questa privilegiata esistenza, cui oggi mi aggrappo per riemergere.

La noia.

È tale la noia per tutto questo malessere, che mi ritrovo all'improvviso a reagire.

La noia a che serve, in fondo, se non ad attivarsi per scacciarla?





domenica 25 agosto 2019

E NON SCOMPARIRE PIU'


Da me stessa, principalmente, facendomi perdere le tracce di quella che sono.

C'è un fiore che sboccia, al mio polso, intrecciato ad un laccio lavorato a mano, e mi incanta guardarlo nel suo movimento.

Ho la solita birretta fresca al lato della tastiera, su questo vassoio di bambù che uso per scrivere, lavorare, studiare, fare colazioni e pic nic serali a letto, e sotto il quale trova sempre rifugio una creatura morbida e pelosa in cerca di coccole.

Il nuovo taccuino degli appunti è già pieno di inchiostro.
L'ansia della carta bianca non mi appartiene.

Dove andrà a finire tutto questo inchiostro, quando non ci sarò più?
L'eredità che lascio è gravosa, su chiunque ricadrà.

Ieri mattina sono scesa presto al mare a fare una passeggiata.
Si scende al mare, qui, e non solo per la conformazione fisica della strada che vi conduce.
La distesa d'acqua è sempre lì, immutabile, certa e confortante.
Il profilo delle montagne e delle colline sta rapidamente cambiando, invece, anche se resta inconfondibile.

Il tempo sgretola le cose, e ne muta la forma, ma l'essenza che traspare e pulsa è sempre la stessa.
Nei luoghi come nelle persone.

Un po' come l'acqua, ci si adatta ai nuovi contenitori e alle nuove estensioni di volta in volta disponibili.

E, come fossi acqua, continuo io stessa a scorrere tortuosamente dove trovo spazio, o ricavandomene uno, senza mai dimenticare la strada percorsa sinora.




lunedì 15 luglio 2019

SUSSURRI DAI SILENZI



Il rumore fresco della lattina di birra ghiacciata rompe il silenzio sacro della stanza.
Il cielo è grigio, e il ventilatore sulla scrivania, a un passo e mezzo dal letto su cui sono seduta, è spento.
E' la prima volta che lo spengo da che è cominciato questo caldo infernale.

Tiro sorsi dal bicchiere dorato e scrivo, come se non avessi mai distolto le mani dalla tastiera.
Il flusso dei pensieri è stato ininterrotto, ma ha assunto una veste grafica differente, di recente.
E' la prima volta da mesi che ho il portatile con me.
E scrivo, scrivo forte da questa camera di compressione obbligata.
Mi manca l'acqua, in molti sensi.
Avverto la forza di gravità che mi spinge verso il basso, ma un po' meno rispetto ai mesi scorsi.

Non è successo nulla, ed è successo tutto.
Un po' come la vita, che riserva sempre nuove fini e nuovi principi cui non ci rassegnamo mai per davvero, mentre ci ostiniamo a viverla come un continuum circolare e concentrico, che si esaurisce in se stesso e in se stesso trova principio, fine e continuazione.
Il punto di partenza e quello di ritorno riesco a vederli chiaramente, adesso, dopo averli persi di vista per un po'.
Hanno i miei occhi, i miei capelli fini da bambina, riflessi nello specchio di casa dei miei genitori.
Sempre quegli occhi lì, che puntano dritto, e se ne fottono delle zampe di gallina, delle code di scorpione, delle streghe che volano su scope sottili, e di stregoni pieni di sè.

Nel turbinio del mio mondo mi sono seduta un attimo, raggomitolata su me stessa, come un gatto con la coda attorcigliata attorno al corpo.
Mi risveglio, con gli occhi che faticano ad abituarsi alla luce, mentre la ricercano.
Mi guardo attorno.
Sono pronta a un nuovo slancio vitale.



venerdì 19 aprile 2019

ED ESSERE CIO' CHE SI PRETENDE DI ESSERE


La naturalezza o la forzatura con cui si calca la maschera sul proprio viso possono incidere, talvolta, solo sul tempo per svelarla.

Tale è il tempo necessario per individuare la chiave di lettura di atteggiamenti correlati a pensieri più o meno celati nel nascondiglio precostituito per difenderli.

Ed è solo tempo, nell'unità di misura correntemente accettata.



martedì 16 aprile 2019

UN PICCOLO EREMO CITTADINO


È qui che ho trovato rifugio.
In un luogo in cui il silenzio è tale da percepire indistinto il rumore del respiro,
talmente sconosciuto, abituato a confondersi tra rumori più pesanti, da sembrarmi estraneo.

Quando ne parlo, ancora oggi, dopo il penoso girovagare degli ultimi mesi, le persone non capiscono se sia una battuta, o uno scherzo.

Mi obbligano a precisare che no, non lo è.

Quando voglio abbandonare questa dimensione che profuma di silenzio, rigore e bucato fresco, mi basta fare pochi passi e accompagnare il passo all'ingresso, verso il mondo esterno.

Dopo circa 11 ore di lavoro, e la fila al bancomat, e il traffico per rientrare a casa - che non si capisce quale evento mondano blocchi la città - i supermercati li trovo chiusi.

L'unica speranza, per mangiare qualcosa di caldo, è una pizzeria a due minuti dall'ingresso, che è sempre aperta.

Credo sia a conduzione familiare, o qualcosa di simile.

Dopo tre volte che sono andata, mi considero già una cliente abituale.

Mi chiamano "signora", dopo l'iniziale diffidenza; mi preparano la pizza nel forno a legna caldo in 3 minuti di orologio, e mi aprono anche con galanteria la porta per farmi uscire.

Il pizzaiolo è un ragazzo molto giovane, di una serietà spiazzante, che neanche il tempo di dirgli che pizza voglio, la mette pronta e tagliata nel cartone.

La ragazza che sta in cucina e si alterna alla cassa, ha colori e freschezza botticelliane, appena appesantiti dal calore del forno che le arrossa le gote.
È bella, di una bellezza di cui le sfugge l'unicità, e di cui ha vergogna, schiacciata forse dagli stessi stereotipi di perfezione da cui nessuno resta del tutto immune.

La signora cui pago il conto infila rapida la venti euro nella borsa, invece di metterla in cassa, dove suonano i pochi spiccioli che mi rende di resto.

Vivere in una città stretta nella morsa di una criminalità che non si riesce a debellare è estremamente dura, e ancor di più se si è avviata un'attività commerciale.

Varco la soglia della stanza-pizzeria, illuminata da stanche luci al neon, passando sotto la cadente insegna vintage, e attraverso la strada verso il portone con le iniziali incise nel legno, che mi accoglie nel ventre caldo del palazzo.

Se nei periodi più bui si registra un ritorno alla spiritualità collettivo, non è un caso.

In questo caos violento e rumoroso, apprezzo personalmente avere attorno gente pacifica e rispettosa dei miei spazi.

Adoro chiudere la porta dietro le mie spalle e sapere che nessuno verrà a disturbarmi nemmeno per sbaglio in questo isolamento dorato.

Apprezzo trovare riparo dal mondo, la sera, dopo giornate in cui nel mondo sono immersa con tutte le scarpe.







giovedì 11 aprile 2019

NON RAGGIUNTA DAL RUMORE


La piccola stanza in cui riposo affaccia sul cortile interno.
Il rumore della città sgradevole e molesta non mi raggiunge, rimane chiuso oltre le mura solide di questa imponente struttura.

Leggo i miei libri, studio, ascolto musica, comunico virtualmente con il mondo esterno.

Rifletto sulla mia condizione e su quella del mondo.
La mia vita scorre via come un fiume che si fa presto cascata e mulinelli, per poi riprendere un percorso sinuoso attraverso il bosco.

Mi viene sempre in mente Dante,  quel momento in cui uscì a riveder le stelle, e penso che ogni inferno ha la sua durata, la sua fine, la sua luce.

Per quanto intenso sia.

Per quanto impervio.

Ogni percorso ha sua fine.

E posso poi davvero definirla inferno, questa tensione, questi problemi che si coagulano attorno ai miei pensieri, che incrostano le mie scelte?

Raccolgo la mia vita passandola al setaccio, e così le vite d'altri, sussumendole in polvere bianca di zucchero a velo, di cui cospargo le scelte future che dolci non sono.

Continuo a leggere gineprai di parole piene di significato, che disegno nella loro forma e occupano le mie piccole riflessioni.

Lavoro ininterrottamente.

Dimentico di mangiare.

Recupero al distributore automatico, che raggiungo quando ho bisogno di una boccata di ossigeno e di un po' di cioccolata.

Vivo, vivo, vivo.
O forse sto solo sopravvivendo.
Il tempo mi sfugge.








giovedì 14 marzo 2019

LA COMMOZIONE PER ALLERGIA


Capita un po' così, che confondo la commozione per allergia e viceversa.

Che mi si fanno gli occhi lucidi, e forse è il polline, forse no.

Io lo so che la mia è una piccola esistenza che pesa un infinitesimo di poco più di niente, nelle dinamiche di questo mondo.

E' un concetto che non mi ha mai incentivato a desistere.

Sono restia ad intraprender facili vie di fuga, o ad accordarmi giustificazioni banali per ciò in cui sono manchevole.

Se con la mia tenacia riesco a tratteggiare nuovi orizzonti, e portare equilibrio dove non ce n'è, ed un briciolo di equità dove campeggia il sopruso, che mi importa di quanto pesino questi sforzi?



Studio molto, lavoro molto.
Ed è meraviglioso il compenso a livello morale che i frutti di tanto lavoro comportano.

martedì 12 marzo 2019

AFFIORO LENTA



Non pensavo di mancare così tanto tempo alla scrittura, ma sono mancata, tanto quanto la scrittura mi è mancata, tanto quanto mi è mancato srotolare in lettere scrure l'imperscrutabile - o quasi - pensiero quotidiano.

I miei ritmi vitali hanno subito una sorta di battuta di arresto, sotto tutti i punti di vista.

Sopravvivo, tenace.
Mi nutro, sempre meno.
Mi sposto, troppo.
Spostamenti lunghi e costanti, con questi paesaggi che scorrono, distanti, al di là del parabrezza, o sferzati dal vento fuori la porta a vetri, che ho tenuto spalancata sul cortile per l'intero e gelido inverno.
Mi tengo stretta gli affetti, l'unica cosa che conta, in questo mondo che quando meno te l'aspetti qualcuno te lo porta via.
Ascolto musica registrata male e canto, anche alle 5 del mattino, quando attraverso la notte verso il giorno, e mangio la strada per colazione.