giovedì 23 gennaio 2020

PIANTARE TAMARINDI


C'è della terra parzialmente incolta, dove lavoro.
Dove pascolano felici i miei randagi famelici ed affettuosissimi,e si addormentano, tra i fili d'erba, a pancia piena.

C'è qualche albero da frutto (con cui ho fatto spuntini dolcissimi in estate).

È uno spazio quasi abbandonato a se stesso.

Stavo pensando di piantare qualcosa, finché resto, e prima di andare via.
Dei bulbi di iris e narciso, probabilmente.
E un albero da frutto, che vorrei provare a mettere per talea.
E un'aloe vera.

Devo consigliarmi con mia madre, esperta come pochi nell'arte di coltivare la terra, crescere piante e fiori, riconoscere erbe spontanee commestibili (che sa anche cucinare divinamente).

L'idea che quando non sarò più qui, qualcosa possa fiorire, dando un po' di colore a questo inferno, mi alleggerisce l'aria che respiro.

Quanto ai miei randagi, sono una gioia quotidiana.

Vorrei che ci fosse sempre qualcuno a dargli da mangiare e garantirgli una ciotola piena d'acqua fresca.
Vorrei che avessero un riparo solido, e non solo quello delle chiome folte degli alberi.

Il fatto di dargli qualcosina da mangiare, comunque, e di sponsorizzare una loro adozione, ha spinto altri amanti degli animali ad armarsi di scatolette e croccantini per sfamarli.

Spudoratamente, oserei aggiungere.

Sono felice del fatto che delle creature abbandonate in mezzo al nulla, abbiano un piccolo conforto.

Vorrei fosse permanente.

C'è quel noto detto orientale per cui chi pianta tamarindi, non raccoglie tamarindi.

Io pianto tamarindi, e anche se non li raccoglierò, vederli crescere dona un senso al mio passaggio in questo luogo.



mercoledì 22 gennaio 2020

IL RUMORE DELLA SVEGLIA


Ho un paio di suonerie diverse per le mie sveglie mattutine sul telefono (che regolarmente posticipo).

E non è tanto il suono delle sveglie a svegliarmi, quanto il fastidio procurato dal gesto - spontaneo e sempre uguale a se stesso - del braccio destro che si distende per raggiungere il telefono sulla piccola mensola di legno accanto al letto.

Mi sembra una routine agghiacciante quella di alzarsi al mattino sempre alla stessa ora, compiendo sempre gli stessi gesti, sapendo già come volgerà la giornata lavorativa.

Indosso la giacca, le chiavi dell'auto riposte nella tasca la sera prima, metto gli occhiali da sole e il burro cacao mentre aspetto che il semaforo diventi verde.

Schivo la gente che, a piedi, si butta all'improvviso sulla strada per attraversare, senza guardare; sorpasso quelli che guidano con il cuscino ancora attaccato al viso, a venti orari sul tratto extraurbano.

Ogni tanto, se mi avanzano cinque minuti, mi fermo a prendere una colazione al bar da portar via.

Fuori dalla città, enormi distese verdi corrono veloci ai lati del campo visivo, ruderi cadenti svettano lungo la linea piatta dell'orizzonte, insieme ad alberi aguzzi che sembrano perforare il cielo.

E nulla muta mai, in questo paesaggio, cristallizzato nella sua ostilità e nel suo degrado, e mai attraente.

Mi domando quanto a lungo devo ancora resistere in questo posto.

Mai le abitudini quotidiane mi sono pesate così tanto fino a rendersi odiose.









ANIMALI DA CORTILE


Mentre lavoravo, silenziosamente, nel piccolo triangolo di luce naturale che filtra dalla finestra, oggi riflettevo sul fatto  che gli unici legittimati a starnazzare ininterrottamente tutto il tempo sono certi animali da cortile.

Solo loro.






venerdì 17 gennaio 2020

COME UN UCCELLINO


I miei randagi si rotolano nel prato a pancia piena, da un paio di giorni.

Sono uno spiraglio di luce nel grigio maledetto che ho intorno.

Gli ho messo un paio di ciotole; una con l'acqua, pure, che snobbano.

Avevo del pane raffermo, oggi, che mi è avanzato dalla baguette che ogni tanto porto per la pausa pranzo.

L'ho sbriciolato e fatto a pezzi per gli uccelli.

Ci sono tortorelle e gazze ladre che bazzicano tra gli alberi e ogni tanto si affacciano dove lavoro.

Uno dei randagi è andato a mangiare un po' di quel pane.

L'ha masticato con fame.

Mi si è stretto il cuore.

Sto cercando di coinvolgere altri in questa questione, affinché non rimangano senza cibo, soprattutto quando non ci sono.

E se mai smetterò di esserci io.

E affinché qualcuno li adotti, finché sono sono ancora morbidi cuccioli, non induriti dalle asperità della vita selvatica e randagia.


Da lunedì gli cerco casa a tamburo battente.







martedì 14 gennaio 2020

I MIEI RANDAGI


È iniziato tutto dalla porta sul retro.
Ha un vetro gigantesco e si guarda bene fuori, mentre da fuori si sbircia dentro.

E lei ha cominciato a sbirciare, dapprima furtivamente, poi con curiosità estrema.
E a cercarmi pian piano con lo sguardo, finché non l'ha afferrato.
E quindi, presa all'amo, sono uscita fuori e abbiamo socializzato.
Sempre di più.
Ha cominciato a passare regolarmente per una carezza ogni giorno.
Ha portato i rinforzi.
Ed io mi ero ripromessa di farmi i cavoli miei, e di non affezionarmi.
Di non portare loro assolutissimamente cibo.

Sono appena tornata dal supermercato, e metà della spesa è per loro.

A dire il vero, però, a parte la gioia di ricevere cibo, pretendono sempre, prima, carezze ed attenzioni.
Mi accompagnano dal parcheggio fin dentro la porta d'ingresso.
Persino quando vado a prendere il caffè mi scortano.
Rispondono al richiamo.

Sono adorabili.
E m'hanno fregata alla grande.

Il prossimo acquisto è un antiparassitario efficiente in vista della stagione primaverile.

Nell'economia generale, ho deciso di privarmi di un caffè al giorno al distributore automatico, a lavoro.

Quei 50 centesimi tolti al caffè sono quindi diventati il fondo cassa giornaliero per i miei randagi.

La dose di relax e amore che mi donano è qualitativamente superiore a quella della caffeina sintetica del distributore.




domenica 12 gennaio 2020

CENTOMETRISTA


Così mi immagino ora.
Come un centrometrista, dopo che è partito il segnale di inizio della gara.

Nel mio piccolo rifugio, che ha il sapore di un ritiro spirituale, immersa nel silenzio della struttura e nel calore che irradiano i vecchi termosifoni di ghisa, sto con la testa sui libri dall'altro ieri.

Con un occhio malandato, che non capisco se ho un orzaiolo, congiuntivite, o se me lo sono semplicemente strofinato troppo con le mani sporche di matite temperate.

Con i postumi dell'influenza della settimana scorsa, che non rendono giustizia alla forza che comincia a riemergere, nella sua integrità, in tutta la sua bellezza.

In pigiama, perché non ho niente altro di pulito per star comoda a studiare, questa domenica.

Sono sola, sulla mia seggiola di legno imbottita, le tendine della finestra  annodate a fiocco per guardare il cielo dalla piccola scrivania.

Sono sola, completamente, anche se qualcuno mi ricorda telefonicamente della famiglia, dei pelosi e degli affetti che moralmente mi assistono, ma sono altrove.

Troppo distanti da qui.

Sono in corsa, ancora una volta.

E fortissimamente studio, per aggiungere altre opportunità alla vita che mi aspetta.






venerdì 10 gennaio 2020

UN BLOGGER


Lui era un blogger.

Scriveva condendo le pagine virtuali di vita vissuta con la sua freschissima ironia.

Le ultime pagine del suo diario virtuale risalgono a qualche anno fa, e le sue ultime parole sembrano registrare un sogno premonitore, o un presentimento.

Di quelli brutti.

Non ho potuto fare a meno di tornare a leggerle, dopo aver visto, per caso, una notizia, nei giorni scorsi, che lo riguardava.

Una di quelle bruttissime.

Avevamo una conoscenza estremamente superficiale, l'uno dell'altra, e solamente virtuale, ma non nego che sono rimasta turbata.

Tanto possono le parole: avvicinare vite distanti, rendere compartecipi di gioe e dolori di sconosciuti, in cui irrimediabilmente a tratti ci riconosciamo.

Cosa ne sarà di questo diario, che ha smesso di scrivere, e in cui annotava le sue esperienze, le sue speranze, i suoi timori?

Chissà se la sua famiglia ne è al corrente, e se importa qualcosa, in fondo, delle parole che ci lasciamo dietro, che ci sopravvivono.

Anche se certe parole ricostruiscono con pretesa di esaustività frammenti delle nostre esistenze, alla fine non carezzano che blandamente la reale essenza di ciò che siamo.

Che poi, quelli di noi che continuano a scrivere sui blog non lo fanno mica per vendere o vendersi.

Ci sono modi infinitamente più redditizi per fare entrambe le cose.

Non è nemmeno un tramite ottimale per rimorchiare, il blog.

È un mezzo taccuino, uno sfogatoio dove ammazziamo il tempo ad annotare quel che ci passa per la testa, uno dei modi con cui registriamo la realtà in cui siamo immersi.

In cui talvolta galleggiamo e talvolta annaspiamo.

Con le parole ci costruiamo salvagenti, o alziamo una mano dal mare affinché qualcuno ce lo butti dall'alto.

Il blog è una piccola isola dove troviamo rifugio dal mare in tempesta.

O almeno, ancora oggi, questo per me resta.










IL GELATO L'INVERNO


Ci sono piccoli rituali in cui trovo rifugio sin dall'infanzia, per ricaricarmi e ritrovare un po' di benessere psico-fisico quando scarseggia.

Ognuno c'ha i suoi, ché mica tutti troviamo conforto nelle stesse cose, del resto.

A me piace, ad esempio, il gelato d'inverno.

Non lo so perché, ma trovo meraviglioso mangiare la panna che si ghiaccia e si spacca sul gelato, che rimane sodo invece di sciogliersi e colare sulle mani e sui vestiti.

E poi quell'intorpidimento della bocca tutta, quel perdere la sensibilità per il gelo, mi fa pensare al sangue caldo che mi scorre nelle vene, al fatto che sono viva e mi batte forte il cuore, anche se fuori fa freddo.

E dentro pure, talvolta.

Quindi, rientrata da lavoro, ho posato l'auto e sono uscita a piedi a prendere il gelato.

Tra tante abitudini maturate sinora, questa credo sia di quelle che non mi abbandonerà davvero mai.








mercoledì 8 gennaio 2020

IL CONSUMO PERSONALE


Il mio consumo settimanale, in termini di chilometri percorsi, è altissimo (del che ne ho già abbondantemente scritto).

I passi consumati, in termini di scarpe che marciano al suolo, è talvolta sostenuto, mentre talvolta rasenta lo zero.

Il mio consumo personale in termini di cibo è alquanto ridotto, e sempre condiviso.

E dunque comincio l'anno con il proposito di capovolgere questa scala gerarchica del consumo, riducendo, per quanto possibile, i chilometri in auto, aumentando i passi, e aumentando pure il consumo di cibo e la sua condivisione.

Ché cibo non è solo nutrimento, ma anche conforto, che ci si può dare e che si può offrire, anche nel proprio piccolo.









mercoledì 1 gennaio 2020

LA CITTÀ DEL CAPODANNO


Mi sono alzata dal letto discretamente tardi, e sono andata al mercato a far spesa per il cenone.
Esattamente come lo scorso anno, anche se tante cose, apparentemente identiche, sono mutate.

E ancora cambieranno, perché non siamo mai gli stessi di ieri.
Mai gli stessi di oggi, domani.

Le feste sono un periodo complicato, sempre, ma sembra che certi nodi vadano sciogliendosi, soprattutto dentro di me.

Son tornata dallo stesso pescivendolo dello scorso anno, stessa ora, stessa ressa davanti al bancone ricoperto di ghiaccio e pesce d'ogni tipo.

Ho steso un menu di piatti classici, poco elaborati e da cucinare sul momento, sorseggiando un rosè.

Ho immerso le vongole in acqua e sale.
Sul fuoco, solo le lenticchie per la mezzanotte.
E poi sono uscita, confondendomi tra i turisti e l'identità perduta di una città sempre più schiacciata dalle lucine uniformi della globalizzazione.

E infine la cena, serena, lontana dagli schiamazzi della strada, nell'intimità di una piccola casa, riscaldata dalla luce delle candele.

Stamattina la città si è risvegliata in un'atmosfera dorata dal gelo.
Nei vicoletti, le vetrate ampie dei bar a incorniciare i tavolini vuoti delle colazioni sbocconcellate per il piacere di sedersi in prima fila davanti al passeggio mattutino del mondo.

Mi sono messa in viaggio, facendo una breve sosta in autogrill, per uno spuntino ed il carburante.
In fila, davanti e dietro di me, dei ventenni gracchianti, sfatti dalla nottata, intenti a comprare caffè e gratta e vinci alla cassa.

Gracchiavo così anch'io, a vent'anni?
Emettevo versi e suoni privi di senso in mezzo alla gente, cercando disperatamente di distinguermi e far notare la mia esistenza, agli altri come a me stessa?

Sono rientrata a casa, finalmente, e tra poco ceno dai miei.
Il mio bicchiere è pieno di un buon rosso, che sorseggio mentre mia madre frigge dei deliziosi carciofini.

Domani, purtroppo, si rientra al lavoro, e tutto vorrei fuorché mettermi in viaggio di nuovo per allontanarmi da casa.

Sono stanca di queste lunghe percorrenze, ma devo lavorare.
Pure quest'anno.

Forse lo dovevo prendere pure io un "grattevvinci", in autogrill...