mercoledì 26 febbraio 2020

LA SINDROME DELL'UNTORE


Che sia o meno poco più che un'influenza, questo virus, ce lo dirà il tempo.

Tra chi sminuisce e deride chi si allarma, e chi dall'allarme è precipitato nella paranoia, io penso di collocarmi più o meno nel mezzo.

Ho alzato le precauzioni che già adottavo quotidianamente per evitare di beccarmi qualcosa (lavo ancora più spesso le mani, pulisco i piani d'appoggio, evito di toccare maniglie di luoghi pubblici etc. o et cetera, che di questi tempi anche uno starnuto messo per iscritto può generare allarme).

E mi astengo da commenti di derisione nei confronti di chi teme che lui stesso o i propri cari possano morire (sarò tonta, ma per me è umanamente comprensibile e condivisibile), e mi fa un po' tristezza chi fa del sarcasmo facile e la solita ironia da quattro soldi per farsi figo o superiore rispetto alla massa di cui è irrimediabilmente parte.

E in cui io stessa, idealmente, lo colloco, all'interno del più ampio serbatoio della noia fine a se stessa (cioè quella che non è in grado nemmeno di solleticare l'intelletto affinché vi trovi una via di fuga).

Mi fa tristezza leggere notizie che contengono nel titolo l'affermazione di ciò che nel testo per esteso smentiscono, solo per guadagnare un click in più cavalcando l'ansia della gente.

Ci sono questioni  implicitamente rinviate, che esploderanno quando finiremo di chiederci quanto sia effettivamente letale questo coronavirus.

Quel che mi pare certo è che la diffusione del coronavirus stia contribuendo all'insorgenza della "sindrome dell'untore".

Sfido chiunque a non essersi chiesto: e se sono io l'untore, e nemmeno lo so?

Se mi porto addosso questo virus invisibile e lo trasmetto ai miei cari?














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