venerdì 19 aprile 2019

ED ESSERE CIO' CHE SI PRETENDE DI ESSERE


La naturalezza o la forzatura con cui si calca la maschera sul proprio viso possono incidere, talvolta, solo sul tempo per svelarla.

Tale è il tempo necessario per individuare la chiave di lettura di atteggiamenti correlati a pensieri più o meno celati nel nascondiglio precostituito per difenderli.

Ed è solo tempo, nell'unità di misura correntemente accettata.



martedì 16 aprile 2019

UN PICCOLO EREMO CITTADINO


È qui che ho trovato rifugio.
In un luogo in cui il silenzio è tale da percepire indistinto il rumore del respiro,
talmente sconosciuto, abituato a confondersi tra rumori più pesanti, da sembrarmi estraneo.

Quando ne parlo, ancora oggi, dopo il penoso girovagare degli ultimi mesi, le persone non capiscono se sia una battuta, o uno scherzo.

Mi obbligano a precisare che no, non lo è.

Quando voglio abbandonare questa dimensione che profuma di silenzio, rigore e bucato fresco, mi basta fare pochi passi e accompagnare il passo all'ingresso, verso il mondo esterno.

Dopo circa 11 ore di lavoro, e la fila al bancomat, e il traffico per rientrare a casa - che non si capisce quale evento mondano blocchi la città - i supermercati li trovo chiusi.

L'unica speranza, per mangiare qualcosa di caldo, è una pizzeria a due minuti dall'ingresso, che è sempre aperta.

Credo sia a conduzione familiare, o qualcosa di simile.

Dopo tre volte che sono andata, mi considero già una cliente abituale.

Mi chiamano "signora", dopo l'iniziale diffidenza; mi preparano la pizza nel forno a legna caldo in 3 minuti di orologio, e mi aprono anche con galanteria la porta per farmi uscire.

Il pizzaiolo è un ragazzo molto giovane, di una serietà spiazzante, che neanche il tempo di dirgli che pizza voglio, la mette pronta e tagliata nel cartone.

La ragazza che sta in cucina e si alterna alla cassa, ha colori e freschezza botticelliane, appena appesantiti dal calore del forno che le arrossa le gote.
È bella, di una bellezza di cui le sfugge l'unicità, e di cui ha vergogna, schiacciata forse dagli stessi stereotipi di perfezione da cui nessuno resta del tutto immune.

La signora cui pago il conto infila rapida la venti euro nella borsa, invece di metterla in cassa, dove suonano i pochi spiccioli che mi rende di resto.

Vivere in una città stretta nella morsa di una criminalità che non si riesce a debellare è estremamente dura, e ancor di più se si è avviata un'attività commerciale.

Varco la soglia della stanza-pizzeria, illuminata da stanche luci al neon, passando sotto la cadente insegna vintage, e attraverso la strada verso il portone con le iniziali incise nel legno, che mi accoglie nel ventre caldo del palazzo.

Se nei periodi più bui si registra un ritorno alla spiritualità collettivo, non è un caso.

In questo caos violento e rumoroso, apprezzo personalmente avere attorno gente pacifica e rispettosa dei miei spazi.

Adoro chiudere la porta dietro le mie spalle e sapere che nessuno verrà a disturbarmi nemmeno per sbaglio in questo isolamento dorato.

Apprezzo trovare riparo dal mondo, la sera, dopo giornate in cui nel mondo sono immersa con tutte le scarpe.







giovedì 11 aprile 2019

NON RAGGIUNTA DAL RUMORE


La piccola stanza in cui riposo affaccia sul cortile interno.
Il rumore della città sgradevole e molesta non mi raggiunge, rimane chiuso oltre le mura solide di questa imponente struttura.

Leggo i miei libri, studio, ascolto musica, comunico virtualmente con il mondo esterno.

Rifletto sulla mia condizione e su quella del mondo.
La mia vita scorre via come un fiume che si fa presto cascata e mulinelli, per poi riprendere un percorso sinuoso attraverso il bosco.

Mi viene sempre in mente Dante,  quel momento in cui uscì a riveder le stelle, e penso che ogni inferno ha la sua durata, la sua fine, la sua luce.

Per quanto intenso sia.

Per quanto impervio.

Ogni percorso ha sua fine.

E posso poi davvero definirla inferno, questa tensione, questi problemi che si coagulano attorno ai miei pensieri, che incrostano le mie scelte?

Raccolgo la mia vita passandola al setaccio, e così le vite d'altri, sussumendole in polvere bianca di zucchero a velo, di cui cospargo le scelte future che dolci non sono.

Continuo a leggere gineprai di parole piene di significato, che disegno nella loro forma e occupano le mie piccole riflessioni.

Lavoro ininterrottamente.

Dimentico di mangiare.

Recupero al distributore automatico, che raggiungo quando ho bisogno di una boccata di ossigeno e di un po' di cioccolata.

Vivo, vivo, vivo.
O forse sto solo sopravvivendo.
Il tempo mi sfugge.