venerdì 29 maggio 2020

UN PERIODO DI DISCRETI TURBAMENTI


Poco fa in radio passava "volver", amabilmente cantata da Penelope Cruz nel film di Almodovar (anche se la voce non è davvero la sua).

Il testo di quel pezzo mi mette sempre i brividi.

Oggi è il giorno in cui Jeff Buckley lasciava questa vita per consacrarsi all'eternità.

Certe consapevolezze sono venute meno, nei giorni scorsi.
Altre, invece, me le sono ricordate.

Dei nodi si sono sciolti, altri vanno sciogliendosi.

Ho fissato dei paletti, conficcandoli bene nel lembo di terra che separa me dal resto del mondo.

Perché in questo momento sono sola dal lato della mia libertà, nel silenzio in cui solo accendo la musica che mi piace, mentre il resto è chiuso e confinato altrove.

Altrove ed altro da me.

Trovo conforto nei miei pelosi, nelle parole gentili degli amici, nella natura, nelle mie letture, bevute come fossero delizioso caffè.

Arriverà il momento in cui la vita tornerà a occupare il posto del conforto.



giovedì 28 maggio 2020

"Don't Let Me Disappear"



Vorrei scrivere senza condizionamenti, ma non so fino a che punto ne sono capace.

Mi manca questo spazio.
E' il mio sfogatoio, una cosa solo mia, un angolo privato, personale, protetto.
Di quella protezione che non trovo da nessuna altra parte, nemmeno nelle parole di chi dice di volermi bene.

Ho mille pensieri che fanno un gran fracasso nella testa.
E questo rumore non si mescola con quello della gente.
Resta distante.

Sono stata a fare trekking sulle mie montagne.
Un percorso che conosco come le mie tasche, ma sempre mutevole, che non smette mai di emozionarmi.

Mi sono seduta sulla roccia, a un soffio dal cielo e dal vuoto, contrastando quel senso di vertigine che non mi appartiene.
Ho respirato a pieni polmoni, rinfrescandomi con il profumo della vegetazione spontanea.

Quando sono lì, non c'è altro posto dove vorrei stare.



giovedì 7 maggio 2020

UNA VECCHIA MAGLIA


Ieri sera mi sono messa a letto con un mal di testa fortissimo che pensavo di impazzire.
Da impazzire, a un certo punto, ho creduto di morire.
Mai provata una disperazione simile per un mal di testa, non oso immaginare chi ne soffre abitualmente.
La medicina (che non prendo mai), ha fatto effetto dopo un bel po', e probabilmente mi ha fatto addormentare.

Stamattina ero fresca come la rosa fiorita sul balcone.
Ho messo sul balcone qualche nuova piantina, ancora, che mi ha dato mia madre, che dovrò ulteriormente spostare in alcune pesantissime fioriere che devo mettere sul terrazzo.

Oggi a pranzo dai miei ho portato un vasetto di stucco per alcuni lavoretti che ho terminato mentre aspettavo il caffè e mia madre che si preparava per uscire.
Le ho regalato un prodotto detergente della Nuxe che uso ormai da un po' e trovo delizioso, perché è delicato come null'altro abbia mai provato, e mi resta questo profumo sulla pelle per diverso tempo.
Abbiamo fatto un po' di spesa, dove facevo la spesa prima che il coronavirus lo fermasse.
Che desolazione gli scaffali semivuoti.
La merce in offerta,di quella che nessuno compera, che nessuno vuole.

Ho recuperato una vecchia maglia della Benetton che indossavo da adolescente.
Le vecchie cose della Benetton sono indistruttibili.
Comoda, un guanto.
Non riesco a separarmene.
Oggi l'ho messa per uscire.

Sono di nuovo a letto, esausta, e domattina mi aspetta altro smart working.
Ho voglia di andare al mare.
Ho di nuovo mal di testa.
Il tempo continua a volare.





martedì 5 maggio 2020

IL DIVERTIMENTO DI RENDERSI SGRADEVOLI



Ci sono processi che si sviluppano nell'infanzia, e nell'età adulta dovrebbero venire meno.
Dovrebbero essere superati.
Uno di questi vede il bambino cercare di catturare l'attenzione su di sè, rendendosi sgradevole e molesto, e divenendo insistente in questo, fino a scatenare una reazione esausta nell'adulto.
Certi bambini insistono pesantemente con questi atteggiamenti, nel disperato tentativo di catturare forse l'attenzione di un genitore assente, sviluppando un sadico soddisfacimento nel provocare a oltranza una persona, fino a farle perdere le staffe.
E non riuscendosi a fermare fino a quel momento.


Tra adulti non funziona così.
O almeno non dovrebbe funzionare così.
Tra adulti ci si aspetta di intrattenere dinamiche mature, di avere interazioni civili e pacifiche, costruttive, non di confrontarsi con persone che esasperano la conversazione e provocano costantemente, portandoti allo sfinimento, consumando il tuo tempo, e spingendoti a tutti i costi a reagire in malo modo.
E non riuscendosi a fermare fino a che non ottengono questa reazione.


Certi bambini problematici arrivano a consumare i genitori con queste dinamiche.
Ma sono bambini.


Gli adulti che ti consumano con queste dinamiche, che traggono divertimento dal rendersi sgradevoli, purtroppo non possono contare di ricevere la comprensione che solo può riservarsi ai bambini.


Ed io con bambini simili non ci avrei fatto amicizia da piccola, figuriamoci da adulta.




"Quando usi le parole sbagliate
quando il discorso gira su se stesso
quando il tono si fa lamentoso,
o accusatorio,
quando nella parola che dici
si legge solo il pensiero che l’ha generata,
non è mai una questione di forma.
Quando la tua parola non si è fatta carne,
o meglio
quando la carne non ha prodotto parole,
non è mai questione di forma.
Quando parli solo
per sintesi, per astrazioni
e non senti più il bruciare dell’esperienza
non è questione di forma.
Quando dimentichi
Il passo sbandato
Il pensiero fragile,
l’incertezza, l’esitazione,
quando le tue parole
non ti fanno più arrossire,
non è questione di forma.
Leggere le parole,
amarle, correggerle,
non è esercizio,
e neanche tecnica,
è conquista
del passo esatto,
del gesto umano,
del peso materiale
che accompagna l’anima."


- Gianluigi Gherzi



sabato 2 maggio 2020

"MI SENTO SERENA"



Maggio è il mese in cui tutto cambierà.

Anche per la mia piccolissima e insignificante esistenza, numero tra numeri, filo d'erba tra milioni di fili d'erba che ondeggiano al vento, restando attaccati fermamente alla propria radice ben piantata nel suolo.

Ecco, io ondeggio, e tanto, come tante volte prima di adesso è accaduto, ma ho una radice forte.

Io sono forte, anche quando me lo dimentico.

Recupererò le energie e starò bene, ma adesso no.

Non sto bene.

Per fortuna lunedì non debbo rientrare fisicamente a lavoro.




Non so ancora se questo blog, che registra gli ultimi dieci anni circa della mia vita, vedrà chiusure temporanee o definitive, di qui a breve.

Ancora non so dirlo.

Ci sto riflettendo, ovviamente, per scriverne.

In fondo cos'è se non un altro pezzo di me che lascio andare?

Forse l'ultimo.

Io non sono una che distrugge e butta via, sono una che costruisce e ricicla.

Ma è da un po' che ormai, guardando a me stessa, salvo un piccolo nucleo rimasto intatto ed incorrotto, e limpido e lucente, in fondo in fondo, il resto è pieno di spaccature.

Sanerei questi solchi con l'oro se fossi una ceramica giapponese, e metterei di nuovo insieme i pezzi; ma io sono più una tazzina di caffè espresso, di quelle che si usano tutti i giorni a casa, e che quando si sbeccano e vanno per forza messe via ti piange il cuore.

Perché prima di rompersi erano così belle.
Un'abitudine accogliente per la vista e per il tatto.

E poi, d'improvviso, non lo sono più.
Il caffè caldo scivola via attraverso le spaccature, e cola sulle mani, e le ustiona.

E non è colpa del caffè.
Non è colpa della tazzina.
Non è colpa di nessuno.

È che ci sono delle spaccature, ormai, e sono profonde.

Passano da parte a parte.

Magari la tazzina è caduta accidentalmente.
Oppure qualcuno l'ha proprio sbattuta a terra con l'intento di romperla, senza però riuscirci completamente.

Poco importa.

Una tazzina con le spaccature non riesce più a contenere il caffè bollente.

Va messa via.

Ed io, alla fine, sono davvero la tazzina, o sono il caffè bollente?

Sono il contenuto o il contenitore?

Un contenitore che ha pure la valenza di contenuto?

O sono qualcosa di ancora più volatile e inafferrabile, come l'aroma del caffè?

So che qualunque sia la mia natura, la sua esteriorizzazione non riflette che piccoli frammenti del tutto.

Frammenti che cambiano colore al mutare della luce, o se accostati l'uno all'altro.

E che talvolta si legano tra loro, talvolta confliggono.

Quando imparerò ad abbracciare senza dolore le mie contraddizioni?

O le guardo forse con troppa tenerezza?

Io davvero non so dirlo.

Non so dire più niente.