L’onestà
intellettuale è quella cosa che ti consente di riconoscere il talento o la
bravura di qualcuno, anche se non ti è amico o non ti sta nemmeno simpatico.
E’,
nel contempo, quella predisposizione ad affermare, nell’atto della emulazione o riproduzione con strumenti palesemente più limitati dell’opera dell’altrui ingegno in senso lato, di essersi
quanto meno “ispirati” (se proprio non si riesce ad ammettere che si è copiato) al lavoro d’altri.
Dirsi bravi da soli, o farsi acclamare
dalla ristretta cerchia di amici, quando si è copiato (e pure male) quello che qualcun'altro ha in modo originale creato, fa sempre tanta tristezza.
Per non dire pena.
E diciamolo pure, che fa pena, perchè tant'è!
E a queste scene tristi - non c'è nulla da fare - assisto quotidianamente, in questo parassitario e clientelare medioevo nel quale, mio malgrado, sopravvivo, cercando di non farmi trascinare a fondo.
Perchè non c'è nulla, davvero, che mi terrorizza, quanto diventare come certi.
Vivere dello stesso squallore.
Razzolare nella stessa merda.
Autoproclamarmi scienziata o artista nel mio lavoro e in mille altri, e sentirmi in diritto di mortificare chi è bravo per davvero per guadagnare una luce che non mi appartiene.
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