Doveva accompagnarmi con la sua auto, all'università.
La mia era dal meccanico.
Stavamo insieme da diversi anni.
La reazione della madre a tavola, qualche settimana prima, in risposta alle mie aspirazioni in termini di lavoro e carriera, fu: "é meglio che vai a fare l'insegnante, così poi resti a casa a crescere i figli".
Bigotta, retrograda e assidua frequentatrice di una chiesa del posto, non mi sono mai permessa di rispondere a questa donna - non propriamente all'altezza della mia considerazione - in modo scortese o maleducato, o con toni scomposti, a delle uscite veramente infelici cui mi ha sottoposta nel tempo.
Risposi, a questa ennesima esternazione non richiesta, che non era nelle mie corde quel tipo di lavoro, e che avrei fatto quello che desideravo.
Lui era un ragazzo mediamente brillante, di quelli usciti dal liceo con il massimo dei voti, laureato doppiamente con lode, e con una carriera lavorativa di tutto rispetto.
Un bravo ragazzo.
Di più, bravissimo.
Io ero solo una ragazza.
Mi ha lasciata senza molti giri di parole due giorni prima della laurea; la mia famiglia, i miei amici ed io eravamo completamente interdetti.
I miei chiesero se gli avessi fatto qualcosa, per capire, più che altro, e per tentare di giustificare in qualche modo un gesto così pesante ed eclatante, senza però usare toni insinuanti o colpevolizzanti.
Perché io avrò anche un carattere e una personalità impegnativi, ma non c'è nulla che possa giustificare le azioni vergognose di altri nei miei confronti.
Ognuno é responsabile delle proprie azioni.
Ed io gesti del genere non li ho riservati a nessuno, neanche a chi mi ha fatto gratuitamente del male.
Con il volto tirato da dolore e lacrime, e da due notti insonni e agitate, mi son lasciata portare alla discussione della tesi.
Tra le lacrime di commozione della mia famiglia, che temeva che saltasse il giorno più importante della mia vita (n.b. la laurea, non il matrimonio, per la mia famiglia, che sempre ringrazierò per non avermi mai fatto ridicole e medievali pressioni per accasarmi).
Le foto della mia laurea sono sorrisi accennati, e occhi lucidi; però gioiose, nonostante tutto, e in compagnia delle persone giuste.
Certo, lui ha chiuso con me senza ammazzarmi.
Devo ritenermi fortunata, per questo?
Possiamo, in quanto donne, ritenerci fortunate e graziate - e capita ogni giorno, leggendo notizie di cronaca - perché non siamo state ammazzate al termine di una relazione con uomini inadeguati, frustrati, violenti in taluni casi, e fomentati, in altri, dalle famiglie di origine a dirigere le interazioni con le proprie compagne in una certa direzione?
Possiamo continuare a sorvolare sulla inadeguatezza di questi uomini, derubricare i comportamenti più abietti, omettendo di affrontare la bruciante questione culturale che tutti coinvolge?