martedì 16 aprile 2019

UN PICCOLO EREMO CITTADINO


È qui che ho trovato rifugio.
In un luogo in cui il silenzio è tale da percepire indistinto il rumore del respiro,
talmente sconosciuto, abituato a confondersi tra rumori più pesanti, da sembrarmi estraneo.

Quando ne parlo, ancora oggi, dopo il penoso girovagare degli ultimi mesi, le persone non capiscono se sia una battuta, o uno scherzo.

Mi obbligano a precisare che no, non lo è.

Quando voglio abbandonare questa dimensione che profuma di silenzio, rigore e bucato fresco, mi basta fare pochi passi e accompagnare il passo all'ingresso, verso il mondo esterno.

Dopo circa 11 ore di lavoro, e la fila al bancomat, e il traffico per rientrare a casa - che non si capisce quale evento mondano blocchi la città - i supermercati li trovo chiusi.

L'unica speranza, per mangiare qualcosa di caldo, è una pizzeria a due minuti dall'ingresso, che è sempre aperta.

Credo sia a conduzione familiare, o qualcosa di simile.

Dopo tre volte che sono andata, mi considero già una cliente abituale.

Mi chiamano "signora", dopo l'iniziale diffidenza; mi preparano la pizza nel forno a legna caldo in 3 minuti di orologio, e mi aprono anche con galanteria la porta per farmi uscire.

Il pizzaiolo è un ragazzo molto giovane, di una serietà spiazzante, che neanche il tempo di dirgli che pizza voglio, la mette pronta e tagliata nel cartone.

La ragazza che sta in cucina e si alterna alla cassa, ha colori e freschezza botticelliane, appena appesantiti dal calore del forno che le arrossa le gote.
È bella, di una bellezza di cui le sfugge l'unicità, e di cui ha vergogna, schiacciata forse dagli stessi stereotipi di perfezione da cui nessuno resta del tutto immune.

La signora cui pago il conto infila rapida la venti euro nella borsa, invece di metterla in cassa, dove suonano i pochi spiccioli che mi rende di resto.

Vivere in una città stretta nella morsa di una criminalità che non si riesce a debellare è estremamente dura, e ancor di più se si è avviata un'attività commerciale.

Varco la soglia della stanza-pizzeria, illuminata da stanche luci al neon, passando sotto la cadente insegna vintage, e attraverso la strada verso il portone con le iniziali incise nel legno, che mi accoglie nel ventre caldo del palazzo.

Se nei periodi più bui si registra un ritorno alla spiritualità collettivo, non è un caso.

In questo caos violento e rumoroso, apprezzo personalmente avere attorno gente pacifica e rispettosa dei miei spazi.

Adoro chiudere la porta dietro le mie spalle e sapere che nessuno verrà a disturbarmi nemmeno per sbaglio in questo isolamento dorato.

Apprezzo trovare riparo dal mondo, la sera, dopo giornate in cui nel mondo sono immersa con tutte le scarpe.







2 commenti:

sara-sky ha detto...

è bello sapere che hai trovato riparo. Bentornata :)

.come.fossi.acqua. ha detto...


Un ottimo riparo, ma di breve durata...
Il rumore mi stanca.
Il rumore di ogni ordine e grado di intensità.

Nel silenzio mi ritempro.
E, soprattutto, finalmente, dormo.