martedì 3 dicembre 2013

GIOCATTOLI



Le 2.45.
Notte fonda.
Avevo fatto tardi con gli amici, a casa.
Erano andati via poco prima, ero appena crollata nel letto.
Avevo lasciato accesa la candela nella lanterna, si sarebbe spenta di lì a poco.
Ho avvertito il cinguettio del cellulare, riposto sul pavimento poco prima.
Ho buttato un braccio fuori dalle coperte per raccoglierlo, e strizzando gli occhi ho letto che qualcuno mi aveva mandato due messaggi.
"Cosa mi avrà scritto mai, a quest'ora, che non possa leggere anche domattina?".
L'indomani, ancora assorta nel dormiveglia, la sveglia ha cominciato a cantare...
"Basta... Non devo lavorare stamattina... Voglio dormire!"
Pigiando a casaccio lo schermo del cellulare con le dita, ho aperto i messaggi.
Eccomi lì.
Eccoci lì.
Allora come adesso.
Le lacrime hanno riempito gli occhi.
"E' solo la luce del sole... la stanchezza... non mi sono nemmeno struccata... come se lo facessi mai".
Finchè non hanno preso il sopravvento.
Sono esplosa in un pianto composto, ma irrefrenabile.



Forse questo è il nodo della questione.
Una banalità, che tale non è.
Non trattare gli altri come fossero oggetti.
Come fossero giocattoli belli, da giocarci finchè non si rompono, dando fondo alla possessività ed agli istinti più bassi.
Non credere che soldi o gesti triti e ritriti possano comprare i sentimenti.
O la felicità.
Che volersi bene così, nonostante non si possa, sfugge ad ogni logica e ad ogni calcolo.
E' così e basta.