lunedì 5 ottobre 2015

IN TRENO CON I CARTONI ANIMATI



Per rientrare da Roma ho preso il treno.
Il vagone era pieno di cartoni animati.
Qualcuno ha riposto spade di legno nello spazio sovrastante, dove io, più umilmente, ho messo una borsina nera da viaggio, con dentro i miei effetti personali.
Accanto a me si è seduta una donna che ho subito individuato come la madre del cartone animato seduto di fronte a me: una bambina con un vestito di plastica bianco e verde, con fiocco sul petto, e parrucca dai lunghi capelli viola.
La donna ha passato la totalità del proprio tempo ripartendosi tra un centinaio di telefonate a un tipo dal nome romantico, per informarlo compiutamente di ogni metro percorso dal treno, e mini conversazioni monotematiche con altri passeggeri, su quanto i suoi figli fossero amanti del Giappone e di tutto ciò che questa grande nazione produce in termini di fumetti, cartoni animati e gadget di ogni sorta.
Lo diceva con un orgoglio tale, che mi sono sentita abbastanza fuori luogo quando ho pensato, tra me e me, che il Giappone è una grande nazione anche per altre ragioni e che fosse quanto meno singolare che una madre si sentisse così piena di soddisfazione per la passione sfegatata dei figli nei confronti dei cartoni animati e di tutto quello che ruota attorno a questo mondo.
Quasi che questa cosa richieda un'abilità particolare per la quale esaltarsi.
"Tieni, ammamma, leggi il tuo fumetto!", ha detto alla figlia, a un certo punto, cacciando fuori dalla borsa un libricino colorato.
"Vuoi toglierti la parrucca? No?", ha continuato.
I circa quaranta gradi all'interno del vagone non hanno convinto la ragazzina a togliere la parrucca, che ha continuato a soffrire in un composto silenzio, le mani adagiate soavemente sul grembo coperto dal vestito sintetico colorato, gli occhi persi nel vuoto, completamente immedesimata nel proprio personaggio sognante del mondo dei cartoni animati.
Mi sono sentita la strega cattiva.
La stronza disillusa.
Quella che, invece di avere genitori comprensivi, ha sofferto un'infanzia difficile, nella quale lo studio veniva prima di ogni altra cosa, ed i cartoni animati erano relegati a passatempo privo di meriti particolari.
Quella che non capisce non il fatto che certi cartoni animati possano essere accattivanti, o certi film di animazione (quelli di Miyazaki su tutti) degli autentici capolavori, o che possa essere divertente partecipare ad eventi nei quali ci si traveste, ma quanto questa passione possa essere totalizzante per taluno, al punto da rimanerci quasi intrappolato dentro.
Poi penso alla mia passione per la musica, per le foto, per l'arte e per i viaggi, e a quanto siano significativi di quella che sono.
Sono intrappolata anche io nelle mie passioni?
Probabilmente non corre alcuna differenza, alla fine.
E magari è meglio viaggiare in compagnia di gente allegra e travestita da cartone animato, che di gente spenta ed atterrita dal fatto di pendolare avanti e indietro dalla città per meri motivi di studio o di lavoro.
La mia comprensione, però, termina qui.
E questo è quasi sicuramente un mio limite.





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